Proiezioni

 

(giusto per rispondere a questo)

 

Lui la respirava come una sigaretta, una sottile dipendenza che poco a poco schiavizza. Da quando vivevano insieme, poi, erano aumentate le inquietudini. Adesso crescevano a dismisura, si estendevano dalla camera da letto alla cucina e da qui al bagno, dove i flaconi e le creme erano disposti alcuni in ordine sparso, altri in perfetta celebrazione dell’ordine segreto del cosmo.

Prima che si trasferissero nella stessa casa lui aveva sempre ammirato l’aspetto di Roberta, la cura costante prodigata ai capelli, al vestire. Si diceva che non sarebbe mai invecchiata, che avrebbe fermato il tempo con un puro atto di volontà, che mai avrebbe finito per conciarsi come quelle vecchie che chiudono misericordiosamente gli occhi sulla propria età e offrono uno spettacolo a metà strada tra l’indecoroso e il patetico.

Quando la incontrava di sera, dopo il lavoro, ne era colpito ogni volta. Ecco, lui non immaginava che durante il resto della giornata lei fosse sempre così perfetta. Pensava a piccole, impercettibili trasfrormazioni che si attuavano a partire dal momento esatto della sua telefonata pomeridiana.

Fino a culminare, al momento dell’incontro, in un’opera magistrale di composizione del dettaglio.

Forse in vacanza, nei periodi trascorsi insieme, questa segreta metamorfosi avveniva di notte, per il solo fatto di starle accanto.

Dopo quattro anni di insoddisfacenti appuntamenti serali tiranneggiati da una macchina troppo angusta avevano finalmente deciso di vivere insieme. La decisione, presa da Ernesto in uno sfrenato accesso di passione che gli aveva offuscato ogni smania di libertà, era stata accolta da Roberta con lo stesso entusiasmo.

Dopo due mesi la casa era pronta. Piccola, aggraziata, ammobiliata con gusto fine. Avevano comprato stampe, tappeti e stoviglie e Roberta era finalmente entrata, si era impadronita dello spazio con il suo seguito di guardaroba, creme e cremine.

Ernesto adesso le stava osservando. Le contò, una dopo l’altra, in fila sulla mensola del bagno come un esercito di soldatini ordinati che si preparino a sferrare un attacco a tenaglia. Tra boccette, flaconi e scatoline varie ce n’erano diciannove. Li osservò con cura, i valorosi fanti, la coorte che ad un cenno del generale  sarebbe entrata valorosamente in battaglia. Li classificò secondo i gradi e le stellette: latte detergente addolcente, tonico idratante non alcolico, crema idratante giorno, crema nutriente note, lifting “anti age” collo, crema restituiva elasticizzante contorno occhi, stick emolliente labbra, lucidante per capelli ai semi di lino, maschera decongestionante alla malva, scrub delicato viso, deodorante sette giorni di sicurezza (beata lei – pensò – che aveva delle certezze), impacco rafforzante al midollo di bue, idratante glicerinato mani e unghie, olio rassodante corpo, emulsione nutriente gomiti e ginocchia, olio essenziale di mentolo (questo poi, a che serviva?), fluido tonificante seno, deodorante intimo, maschera alle argille del Nilo.

Li dispose in ordine di altezza e si allontanò un poco, per osservare l’effetto cromatico. Uno sguardo di sottecchi gli ricordò che sul bordo della vasca da bagno c’era dell’altro: erano schierate le riserve. Retrovie fortificate, di modo che il nemico non possa trovarci impreparati.

Si guardò allo specchio, la barba non ancora rasata e la pelle stanca, qualche poro dilatato (ma era vero o non era solo una  sua impressione?).

Guardò di nuovo la mensola: le truppe alleate, disposte sull’ala destra, erano sguarnite: schiuma da barba, shampo antiforfora, deodorante senza precisato grado di sicurezza, dopobarba. Chissà se il loro intervento sarebbe stato decisivo o se il generale li avesse già deliberatamente esclusi, degradandoli al semplice ruolo di forze osservatrici, e solo per evitare incidenti diplomatici con la nazione vicina.

Ma no, non era lì il problema, nel numero dei flaconi. L’inquietudine – lo sapeva – era localizzata altrove. Aprì di colpo l’armadio, come sperando che il segreto complotto che si ordiva alle sue spalle venisse alla luce.

Niente.

Solo la fila ordinata degli abiti di Roberta: giacche, gonne, pantaloni, cappotti.

Aprì i cassetti: biancheria profumata e piegata con cura. Appena più dietro la biancheria delle occasioni speciali, riposta in confezioni rivestite di carta velina. E calze, reggicalze, collant, sottovesti e camicie da notte. E odorosi sacchetti di lavanda,

No, non era lì il veleno, la droga leggera che lo intossicava ogni giorno.

All’improvviso comprese che si era perso il senso della sottile metamorfosi.

Roberta era così e basta. Tutta la cura non era solo per lui, come aveva sempre immaginato. Roberta era bella per essere bella, con lui e anche senza si lui.

Questa scoperta lo sprofondò in un immenso disagio: fino a quel momento aveva pensato a lei come a una bambola disanimata che all’improvviso, e solo grazie a lui, prendesse corpo e vita. Ma se la sua presenza non era così indispensabile, perché mai Roberta aveva accettato di vivere insieme?

In fondo – pensò – se la sarebbe passata benissimo anche da sola. C’era qualcosa di losco, lo sentiva. I modi dolci, la voce, le attenzioni che gli riservava, il desiderio urgente che l’avvicinava a lui ogni sera facevano parte di un’orribile finzione, di una simulazione che Roberta la diabolica stava inscenando per stritolarlo, distruggerlo. E infine lasciarlo lì, a rantolare da solo.

Doveva mettersi in salvo, adesso lo sapeva.

Le avrebbe chiesto di sposarlo. E lei avrebbe confessato, la mangiauomini priva di scrupolo, l’ingorda. Perché dover scegliere una sola preda quando poteva averle tutte? La sua proposta l’avrebbe smascherata, ne era certo.

La chiamò in ufficio per dirle di non rientrare a casa, che sarebbero andati a cena fuori. Le servì il piatto della trappola tra il primo e il secondo, prima che avessero bevuto troppo, studiando con attenzione i movimenti delle mani e dell’arcata sopracciliare.

“Il bugiardo non gesticola e mantiene lo sguardo fermo”, lo aveva letto in qualche testo di psicologia criminale che gli avevano propinato in Accademia.

Roberta sorrise e si portò la sua mano al viso accaldato e alle labbra. Lo sguardo era acceso e febbrile, con un leggero moto oscillatorio delle iridi che a tratti la faceva apparire un po’ strabica.

Fu deciso per la fine di maggio. Quattro mesi.

Durante i quali l’inquietudine continuò a dilatarsi e fece da sfondo ai preparativi.

Ristorante, inviti, abito da sposa, viaggio di nozze, liste varie. Roberta sorrideva, si svegliava tranquilla, quasi si trattasse di supervisionare una cosa che non le apparteneva, quasi stesse organizzando il matrimonio di un altro.

Decise che la settimana precedente il fatidico giorno si sarebbe trasferita nuovamente dai suoi. Le piaceva l’idea di una piccola separazione prima del matrimonio, e poi non voleva che Ernesto vedesse l’abito da sposa.

Ernesto si agitò solo all’idea. Si sarebbe data alla fuga? Adesso cominciava finalmente a capire perché lei avesse accettato senza battere ciglio una decisione così repentina. Era chiaro, un’attesa più lunga l’avrebbe sfibrata, avrebbe mostrato cenni di impazienza e di cedimento.

Ma a questo punto lui sarebbe arrivato fino in fondo.

Arrivò la metà di maggio. Roberta cinguettava per tutta la casa, Ernesto soffriva già da un mese di lancinanti dolori allo stomaco e nausee di primo mattino. Si immaginava il ventotto di maggio, solo solo davanti all’altare, ad aspettare come uno stupido, sempre più nervoso, fino a che qualcuno avrebbe detto che tutto sommato, visto che la sposa aveva due ore di ritardo, forse era il caso che la faccenda non andasse più di tanto per le lunghe…che le disgrazie non vengono mai per nuocere..che in fondo era fortunato, pensa se ti capitava dopo, magari con un figlio…che le donne sono volubili, sii superiore, non pensarci più…ma come…eppure avevate vissuto insieme e non ti eri mai accorto che…? Vabbè, dai, non affligerti…il cuginetto coglioncello che fa la battutina…ritenta, sarei più fortunato…l’amico del cuore che tra una pacca sulla spalla e l’altra ammicca…le porte del paradiso dei vitelloni si spalancano again…sorridi.

Basta!

Basta a queste paranoie cogitabonde. Mancava una settimana.

Che iniziò nella tetraggine più completa. Arrivò boccheggiante al mercoledì, con la netta sensazione che durante la notte il respiro gli sarebbe venuto meno e l’asfissia avrebbe avuto il sopravvento. Decise di non dormire. Alle tre della mattina gli si accese la spia del raptus telefonico. Voleva sentirla a tutti i costi, accertarsi che fosse a casa. Ma si trattenne, tanto valeva aspettare le dieci e fare la figura del cretino con tutti gli invitati. Almeno si sarebbe guadagnato la compassione.

Alle dieci era ancora a casa, così pure alle dieci e mezza. Alle undici suo fratello lo trovò in pigiama davanti allo specchio del bagno, unto in ogni parte del viso e dei capelli, la barba lunga di una settimana e gli occhi condannati dall’insonnia.

Guardò i flaconi sulla mensola: tutti aperti e il contenuto sparso alla rinfusa sul viso di Ernesto.

Che cazzo fai ancora così? Roberta è agitatissima, teme che non arrivi più.

Ernesto rispose pianino, volgendo appena lo sguardo senza storcere il collo, con un batuffolo di cotone intriso di qualcosa tra le dita della mano destra.

Mi sto facendo bello. Solo un quarto d’ora e sono pronto.

Il fratello ne approfittò per telefonare alle famiglie, inventando lì per lì una scusa plausibile. Il papillon, il nodo del papillon che continua a venire storto…è emozionato, ha le mani che tremano..

Un colpo secco lo richiamò in bagno. Ernesto si era accasciato sul lavandino, il sangue a fiotti mescolato agli azzurri, ai bianchi, ai rosati. La pistola di ordinanza era già a terra, nell’angolo tra il mobiletto del bagno e la piastra del termosifone.

15 Risposte to “Proiezioni”

  1. odorediluna Says:

    nessuna polizza, cazsko…

  2. ilreporter Says:

    ah…è roba da mettersi comodi!… per intanto ho sbirciato con piacere il principe tremolone e il borsello dei carabinieri. ripasso, e grazie.

  3. Climacus Says:

    Il finale non mi convince: per citare Sharon Stone in Basic Instinct “la sospensione dell’incredulità” del lettore è uno dei principi fondamentali perché la narrazione centri il bersaglio; in questo caso il finale, non sufficientemente ‘preparato e addomesticato’ dalla parte centrale del racconto, appare inverosimile oltre che affrettato, proprio perché spezza il patto tacito col lettore pre-disposto a credere senza riserve (quasi ammaliato) al concatenarsi degli eventi nella fabula. Detto questo, finale escluso, il racconto è splendido e magnetico. Uno dei momenti più travolgenti è l’elenco della coorte (bella metafora, sebbene, a mio parere, sia tirata troppo per le lunghe) di creme, cremine, impacchi, maschere, elisir di bellezza. La scrittura è disinvolta ed efficace, impreziosita da immagini senz’altro riuscite e da un’ottima varietà lessicale. Ho trovato un leziosismo di troppo, “paranoie cogitabonde”, e un pleonasmo: “bambola disanimata”.
    Hai grandi capacità.
    Se permetti, ti linko.
    Buona giornata

  4. prufrock1962 Says:

    io trovo che il finale ci stia. e precipita da tutte quelle piccole sottili derive mentali.

    che poi, come credo gli 8/10 di ex mariti, io abbia sviluppato una piccola ma consistente e ben supportata tendenza misogina e che questa mi porti, leggendo, ad un lieve sorriso ironico per la poca imparzialità del tuo sguardo, ecco credo che anche questo ci stia 🙂
    ciao

  5. fuoridaidenti Says:

    Uff! (il mio proxy va in timeout a cospetto di cotale profluvio). Torrenziale la tua replica, Flou, complimenti. Il tuo Ernesto non paga un po’ troppo duramente l’errore di spostare certe questioni sul piano esistenziale? Ripensandoci su ho una mia teoria generale sul meccanismo di switch che ha dato lo spunto a questo tuo esercizio stilistico. E’ lì, aspetta una tua cortese risposta.

  6. zop Says:

    waw! 🙂 z

  7. Flounder Says:

    una pausa caffè per rispondere a Climacus, più o meno seriamente, sulla storia dei finali. I finali sono difficili. Punto. Lo sono sempre. E non è solo un fatto letterario o l’impossibilità di trovare una forma adeguata. A volte quando scrivo ho in mente Carver che dice if this sounds like a story of a life, ok e questa semplice e banale frase basta a confortarmi e a proteggermi dall’istinto che porterebbe a creare un effetto sorpresa dove non è necessario. P
    er il resto lo ammetto candidamente: ho difficoltà con i finali. Ma non solo quelli scritti, fantasiosi. No. Ho difficoltà con tutti i finali, anche . Non so recidere i cordoni ombelicali, non so mai quando dire basta, non so dosare energie, azioni, pensieri, parole. E non ho nemmeno sufficiente fantasia per sviluppare a dovere il pensiero laterale.

  8. Flounder Says:

    Ho difficoltà con tutti i finali, anche

    m’è scappato l’invio a metà frase.
    era…ho difficoltà con tutti i finali, anche quelli della vita di tutti i giorni.

  9. utente anonimo Says:

    quante cose non sai fare !
    ma la parmigiana quella si spero
    perchè io ho fame e qui non si è visto niente
    anch’io non sono riusito a smettere costiblog come mi ripromettevo.
    La parola fine va semplicemente eliminata le storie non finiscono mai.
    Io comunque avrei scritto al posto della piastra del termosifone, lo scovolino del cesso. era più fine
    (scusa il doppio senso)
    s2

  10. decupando Says:

    ad un certo punto ho tremato…
    mi sono vista con gli occhi di un uomo….con le mie innumerevoli boccettine e flaconi…..
    poi ho sospirato di sollievo quando ho letto…. “All’improvviso comprese che si era perso il senso della sottile metamorfosi”
    le mie miriadi di boccette giacciono li tristemente inutilizzate sconfitte dall’avanzare delle gioiose rughe accettate benevolmente come segni di vita vissuta.
    un bacio
    p.s.
    una piccola freccia d’amore… a favore della mia creatuta..

    “leggo la motivazione di fondo, che è sincera, pulita, inquadra perfettamente il senso del limite”

    è così….
    un ribacio

  11. Flounder Says:

    decu’, la tua creatura è magnifica. si sente a istinto

  12. Flor Says:

    Giuro che torno questa sera a leggerti 🙂 Ora passavo per solidarizzare con te sul crick 🙂 Un bacio. Flor

  13. decupando Says:

    un difetto……:-)
    non ha limite

    un bacio

  14. verdad Says:

    [Ma non solo quelli scritti, fantasiosi. No. Ho difficoltà con tutti i finali, anche . Non so recidere i cordoni ombelicali, non so mai quando dire basta, non so dosare energie, azioni, pensieri, parole]

    Mia dolce toro….certo che non sai dosare …perche’ fai scivolare il vino sulla lingua…e il tuo senso del gusto innato ne ha gia’ colto il bouquet ancor prima che narici e papille abbiano aperto le danze…

  15. IceKent Says:

    chissà, meglio aver difficoltà coi finali o con gli iniziali?

Lascia un commento