Essendo martedì mi tocca riferirvi del mio incontro pomeridiano con la signora Concetta Freud.
Secondo Concetta il perdono, così come lo intendiamo noi nella vita di tutti i giorni, è una cosa che non esiste. Una finzione. Come quei bidoni che ti propinano nelle televendite, come il gioco delle tre carte a Piazza Garibaldi.
Tanto per cominciare, dice lei, il perdono è una prerogativa del Padreterno. Se proprio ti vuoi sostituire a lui, ci devi andare cuoncio cuoncio (N.d.T.: con i piedi di piombo).
In genere io prendo appunti e non obietto. Se non capisco qualche passaggio faccio domande. Ma poche, sennò si spazientisce.
Allora, dice Concetta, se vuoi perdonare veramente devi partire dal principio che la persona che hai di fronte vale quanto te, né più né meno. Le devi attribuire identica capacità di intendere e volere e di distinguere il bene dal male secondo i tuoi stessi criteri. Perché se tu pensi di valere di più o di sapere qual’è la verità, allora non è un perdono, ma è come se assecondassi un deficiente.
Se pensi di valere meno, peggio ancora. Non è un perdono, ma una mancanza di dignità, una specie di captatio benevolentiae (N.d.T. nell’originale: paraustiello) che eserciti per una serie di motivi non esattamente nobili.
Fatta questa premessa ti devi addentrare nell’azione che in qualche modo ti ha leso e comprenderne le ragioni. Se è una cosa da poco ed è stata fatta per leggerezza, allora non è nemmeno il caso di perderci tempo. Si fa finta che non sia successa e si passa avanti, senza sporcare inutilmente il concetto di perdono, che poi a usarlo a sproposito si consuma e quando serve veramente non te ne trovi più. A meno che la cosa non accada sistematicamente, e allora ci si deve riflettere un poco.
Ma se invece è una cosa più pesante, che ti ha offeso e umiliato nel profondo, bisogna operare una serie di distinguo ulteriori, perché si tratta di capire se l’azione ha ferito la tua persona, le tue aspettative o più semplicemente ha offuscato l’immagine che tu ti eri fatto dell’altra persona. Così ti devi costringere a considerare la possibilità che tu, dell’altra persona, non hai capito un bel niente e che forse vuoi usare il perdono a mo’ di antidoto contro la delusione.
Facciamo un esempio scontato: se la tua donna ti ha tradito con il tuo migliore amico dobbiamo capire perché è successo. Quanta parte di responsabilità ci hai messo tu in questa faccenda, quanta ce ne ha messa l’amico tuo e quanto invece si tratta di un capriccio della tua donna.
Dice Concetta: se la femmina tua era felice e contenta si cercava un altro? No.
E allora forse non era felice e contenta, quindi prima di preoccuparti se la devi perdonare o no, preoccupati di capire dove hai sbagliato. Può essere pure che non hai sbagliato ma lei nel frattempo è cambiata e tu non te ne sei accorto. Sei capace di cambiare anche tu per incontrarla di nuovo, a prescindere dal fatto che lei comunque non è stata chiara e onesta con te?
E l’amico tuo perché non ti ha avvisato? Si era distratto? Faceva lo gnorri? Ma tu si’ sicuro che questo è proprio amico tuo e non è l’amico del giaguaro?
E se invece la donna tua non era né stanca né scocciata, ma solo un po’ ninfomane o teneva voglia di una distrazione, tu sei sicuro che ti vuoi accompagnare a una così?
Facciamo che dopo tutte queste riflessioni tu hai deciso di sì e che la vuoi perdonare.
Ma mica il perdono è come un atto burocratico che fai alla camera di commercio.
Tenga, questo è il certificato del perdono, lo abbiamo timbrato, adesso può andare. Lei è un perdonatore ufficiale, si ricordi solo di far quadrare la partita doppia.
E’ che tutte queste riflessioni, per essere fatte onestamente, richiedono un sacco di tempo e un sacco di dispiacere, di rabbia, di paura. Ma proprio assaje. Mica si perdona dalla sera alla mattina. Perché se no vuol dire solamente che tu il vero problema non l’hai proprio preso in considerazione. E allora finisce che dopo due giorni tu o stai più incazzato di prima e le rinfacci tutto o a questa poverella le togli pure l’aria e la controlli come un gendarme e così lei poi veramente si scoccia e se ne va.
Oppure decidi di perdonare e non parlarne più, di non parlarne proprio, ma a questo punto la privi pure della possibilità di affrontare seriamente la situazione. Lei non la affronta, tu manco p’a capa e questo benedetto perdono diventa un macigno da sopportare e stiamo al punto di prima: che o tu pensi che lei è peggio di te e la tratti dall’alto in basso o pensi che se sollevi la questione lei ti può lasciare e dopo tu ti tagli le vene per la disperazione.
La stessa cosa se il collega con cui stai anema e core ti fa le scarpe.
La stessa cosa se tua sorella va in giro dicendo ca si’ ‘nu strunz’.
La stessa cosa se l’amico con cui giochi a tennis il giovedì in preda a un attacco di nervi ti dà una coltellata.
Questo non vuol dire che tu non devi mai perdonare, perché pure questa è un’esagerazione.
Ma lo devi fare solo a determinate condizioni, quando proprio sei sicuro che hai smaltito tutto il livore, che non hai paura di mettere distanza, che non ti turba la presenza di chi ti ha fatto la cattiva azione. E soprattutto quando sei in grado di rispettare l’altro e accettare le sue decisioni. Perché c’è pure gente che non vuole essere perdonata e preferisce mandarti a quel paese!
O vuole essere perdonata solo per’ se mettere a posto ca’ cuscienza.
Azzardo la domanda: scusi, Concetta, ma invece con i figli?
Nenne’, e figli so’ piezz’e core!
ottobre 18, 2005 alle 11:46 PM |
Paraustiello è sublime.
Grande Concetta Freud!!!
:*
ottobre 19, 2005 alle 7:16 am |
ho visto l’alba stamattina. splendida. ancora adesso il rosso si dirada lentamente. ho terminato un libro stanotte, ho fatto un sogno che mi ha svegliato per la sua intensità .
ho avuto una serie di intuizioni, magiche e non. una serie di riflessioni. una decisione.
ho letto alcuni blog che mi hanno fatto piangere, di tenerezza o di dispiacere. ho fatto 5 minuti di zapping televisivo e non c’erano più nemmeno le donne nude.
inizia un’altra giornata. non chiedo molto: un’opportunità .
ottobre 19, 2005 alle 8:47 am |
Un’opportunità è più di molto.
Che libro era?
ottobre 19, 2005 alle 9:49 am |
Ma Concetta pija visite?
Sta storia del perdono e tutto quello che c’è intorno, sarebbe da approfondire, sarebbe da alleggerire, forse, qualche macigno…
ottobre 19, 2005 alle 9:50 am |
…macigni propri e di altri…
ottobre 19, 2005 alle 12:25 PM |
io sono ingiusta, lo so, ma del resto lo é anche la vita..ci sono quelli a cui perdonerei qualsiasi cosa (o quasi), é solo una questione di quanto tempo deve passare..e poi ci sono quelli che al primo sgarro saltano (ma sarebbero saltati comunque), per me il perdono viene dalla pancia..”cuoncio cuoncio” mi piace assai..quasi piú di “tomo tomo- cacchio cacchio” 😉
ottobre 19, 2005 alle 1:48 PM |
concordo. La volontà di perdonare qualcuno è vana a volte. Bisogna entrare nel profondo e capire perchè quel qualcuno ci ha fatto tanto male, o meglio capire cosa ci ha fatto male, altrimenti ci si illude di aver dimenticato ma dentro si macera
ottobre 19, 2005 alle 2:39 PM |
E’ troppo marzulliano se dico che sarebbe gia’ un grande passo perdonare se stessi, a volte?
ottobre 19, 2005 alle 2:50 PM |
perdonare marzullo è impossibile però
😀
ottobre 19, 2005 alle 6:12 PM |
perdono, perdono…
pèrdono, pèrdono…
condono?
ottobre 20, 2005 alle 4:32 am |
il perdono, quando è sentito, è la forma più evoluta di umana consapevolezza
p.s.:
se non vi serve più il link a monodose lo prendo io. posso? lo metto insieme a questi: http://eros.splinder.com/
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ottobre 20, 2005 alle 5:37 PM |
mmmmh… post difficile…
ottobre 20, 2005 alle 6:18 PM |
La piccola Flounder confessa di non saper perdonare e deride chi ne è capace: questo è il senso del suo ultimo sberleffo.
ottobre 20, 2005 alle 6:18 PM |
il perdono è silenzio, assenza di tante parole inutili
ottobre 21, 2005 alle 12:03 am |
non c’è niente di più grande del perdono.
è proprio vero! ma aggiungerei anche che non c’è niente di più appagante per chi lo concede.
donna concetta, di alti sentimenti, si è però incartata nel ritenere che il perdono possa essere in qualche modo condizionato dal ‘perdonato’ e che quest’ultimo possa o debba a sua volta (mi devo ripetere) in qualche modo condizionare il ‘perdonante’ in una sorta di rapporto empatico.
con tutto il rispetto la sua – donna concetta – è una prospettiva sbagliata, da perdonante (o perdonatrice?) della domenica.
il perdono, perché funzioni davvero, deve essere dato ‘a prescindere’ da qualsiasi altra considerazione anche se, a mio avviso, perché sia vero e pieno esso deve essere sempre accompagnato da una giusta ‘azione di contorno’ con funzione catartica.
faccio un esempio rifacendomi alle sue parabole.
torno a casa e becco mia moglie con un altro.
la perdono di sicuro, come perdono lui che però, a titolo di azione provvisoria (di contorno e catartica), faccio finire all’ospedale per qualche mese.
poi si vedrà .
ottobre 23, 2005 alle 3:00 am |
perdonare può essere più facile che dimenticare..
(e vista l’ora puoi perdonare ‘sto mio commento eccheccazz)
ottobre 23, 2005 alle 4:49 PM |
[flounder, sono cinque giorni che non scrivi. pochi per me, ma moltissimi per te che ci hai abituati alla tua (impressionante) prolificità . Va’ che inizio a preoccuparmi, e sappi che le tue fughe, i ritorni, i traslochi, le saracinesche aperte e chiuse mi danno una certa ansia, ecco.
(tornerà , sparirà ,che farà , dove andrà , come sta?)
Smettila, ho bisogno di stabilità in questo periodo. Di sapere che vengo qua e ti trovo. Oh.
;-)]
comunque
a me perdono suona sempre un poâ troppo melodrammatico. Mi sembra si adatti solo a circostanze particolarmente tragiche e a colpe indiscutibilmente univoche, che non richiedono esami della propria coscienza per mettersi a propria volta in discussione. Per le quali pretendere che il perdono avvenga pure per dono, cioè gratis e senza condizioni, mi sembra improponibile.
Negli altri casi, preferisco anch’io parlare di comprensione. Se capisco, supero. Ma difficilmente dimentico.
Se perdonare, come da dizionario, significa rinunciare allâidea di una rivalsa, di una vendetta o di una punizione, mi sembra una via praticabile; se invece si concorda con chi afferma che non può esistere vero perdono che non dimentichi la colpa, che non faccia come “se non”, allora mi sembra francamente sovrumano.
ottobre 23, 2005 alle 9:53 PM |
Ho aspettato tanto prima di decidere di rispondere e non sarò breve, per cui se non avete tempo e pazienza lasciate perdere.
Una prima riflessione riguarda le Scritture: nel Vecchio Testamento abbiamo un Dio vendicativo che improvvisamente si placa e sancisce una Nuova Alleanza. Ma ciò avviene dietro una precisa condizione: il dettato di un insieme di regole da rispettare. Sono poi previsti perdoni successivi istituzionalizzati nel sacramento della confessione, questo è vero, ma solo a patto di unâestrema e sincera contrizione e nemmeno per tutte le categorie di peccati: Dio perdona chi ha ucciso ma non chi divorzia, tanto per fare un esempio. E in nessun caso si ricomincia dal punto in cui si era rimasti, annullando ciò che è accaduto: il Purgatorio è il luogo di transazione ultima del perdono.
Concetta fa una precisazione importante: il perdono è una prerogativa del Padreterno.
Non a caso, nel momento della sua condanna a morte, Gesù si rivolge al Padre per intercedere: Padre, perdonali perché non sanno quel che fanno.
In questa richiesta câè un atto di umanità e di enorme misericordia. E al tempo stesso unâammissione di impotenza.
Voi mi obietterete che Gesù è lo stesso che parla di porgere lâaltra guancia.
Io vi riobietterò che questo non deve indurre a credere allâesistenza di un perdono assoluto. Porgere lâaltra guancia significa concedere unâaltra possibilità . Anche nei Vangeli ci sono parabole prive di perdono e catarsi. Lui stesso caccia i Farisei dal Tempio, tanto per fare un altro esempio.
Lasciando per un attimo da parte la religione, sulla quale possiamo o meno essere dâaccordo, ma che comunque costituisce il nucleo di un cosiddetto pensiero medio dal quale possiamo discostarci solo al prezzo di corrette argomentazioni o della follia, ho fatto una seconda riflessione.
In qualsiasi società strutturata esiste un corpus normativo atto a garantire che i torti vengano puniti. Esiste anche la figura del perdono giudiziale, che viene offerto laddove il fatto sia accaduto ma per esempio a compierlo sia stato un minore o la parte lesa decida di far cancellare il reato. A tutela della parte lesa esistono tuttavia dei reati che proseguono dâufficio, proprio per evitare che le querele vengano rimesse per paura o altri motivi lesivi della dignità . Il perdono giudiziale non crea precedente penale e nemmeno viene riportato nel casellario giudiziale, però viene riesumato in caso di recidività .
Quanto più sofisticato è lâapparato giudiziario, tanto più siamo lontani dallâidea che il perdono sia qualcosa di totalmente spontaneo e connaturato alla natura umana.
Non mi si fraintenda, non ho detto che è impossibile.
Però câè confusione, poiché esistono due momenti: quello del perdono in senso stretto e quello della prosecuzione del rapporto.
Matho sostiene che il perdono nobiliti. Lo penso anchâio. Penso anche che ci liberi e liberi lâaltro. Quando ciò avvenga in condizioni oneste e non patologiche, beninteso. In questo senso il perdono è pura espressione di dignità , del riconoscersi un valore che prescinde dellâaltro e onorare lâaltro di pari valore.
Ma resta da definire un dopo, giacché non siamo il Padreterno e la nostra esistenza su questa terra si sostanzia di relazioni.
Perché il perdono non è un sentimento, attenzione, ma un atto. Un processo dinamico alimentato da sentimento. A differenza del sentimento, che può restare inespresso, lâatto, per sua stessa natura, determina una situazione e comporta conseguenze.
Quando Matho sostiene che si tratta di un gesto unilaterale e che io invece nel mio ragionamento lo condiziono a qualcosa, posso anche dargli ragione. Se però facciamo un passo avanti dobbiamo dirci che il perdono è un atto di estrema consapevolezza, è un momento evolutivo. Eâ una delle cose più rivoluzionarie che esistono, giacché rappresenta il momento esatto in cui si prende coscienza del fatto che il mondo non è ciò che vorremmo o ciò che ci aspetteremmo che fosse, ma è esattamente ciò che è. Per capire questo ci vuole unâonestà intellettuale pazzesca e una capacità piena di adeguarsi alla realtà . Non prendiamoci in giro: non è una cosa alla portata di tutti.
Se pure io lo concedessi in assoluto silenzio e senza tante inutili parole, come afferma lâutentessa anonima, comunque produrrebbe, almeno dentro di me, dei tali mutamenti da non poter non essere tradotti in conseguenze, seppur impercettibili.
Se ci pensate un momento, tutti i milioni di persone che seguono una psicoterapia, una terapia di coppia o una mediazione familiare, vanno a gestire il dramma del perdono. Perché qualunque infelicità deriva unicamente da questo: legami dolorosi non spezzati o non metabolizzati, prigionie antiche irrisolte, incapacità a liberarsi del dolore e della rabbia, ingabbiamenti di ogni genere che lâatto del perdono può interrompere. Qualunque terapia favorisce, al tempo stesso, la creazione di nuove condizioni esistenziali. I due momenti sono indissolubili.
Non derido chi è capace di perdonare e rammendare gli strappi alla fiducia. Ma lasciatemi esprimere il dubbio che dietro un perdono concesso con facilità e tempi rapidi possa annidarsi altro. La paura, in primo luogo. A volte senza nemmeno la consapevolezza di provarla. O lâesigenza di manipolazione.
Per quanto mi riguarda sono una che concede molte possibilità . Guance a palate. Al punto che a volte mi viene detto che determinate situazioni arrivano a un punto critico perché lâho permesso io, perché avrei dovuto mettere limiti e paletti in tempo utile.
Questo mi rende più difficile perdonare. A volte ho impiegato anni.
Sono poche le persone alle quali permetto di avvicinarsi veramente. Tranne rarissimi casi, gli altri non mi toccano, non mi riguardano. In generale il mondo mi scivola addosso e parlare di perdono non ha alcun senso.
Ma chi riesce a entrare in profondità ha buone probabilità di restarci per sempre. Allâelevato costo, per entrambi, di essere inglobato, mettere radici, ramificare, di essere considerato alla stregua della mia stessa carne. In questi rarissimi casi commetto lâerrore di non separare, di non porre confini. Non ne sono capace.
La mia intimità è devastante. Per me e per chi la vive con me.
Questa è la ragione per cui non mi è facile perdonare chi amo, che siano uomini, donne, amici, parenti o amanti. Perché chi mi fa male, mi fa male dallâinterno e lo sa. A quel punto sono dolorose tutte le possibilità : togliersi un pezzo di sé senza anestesia o permettere che cresca dentro come un cancro. Perdonare non è un atto magico, ma è un poâ come curare questo cancro. Per quanto zelo ci si possa mettere, lâesito non è certo e sicuramente impone un nuovo stile di vita.
Lâeccesso di parole compensa i cinque giorni di assenza.
Mi assenterò ancora, in questo momento ogni parola è un urlo. Non è giusto metterle nero su bianco: né per me, né per voi che leggete.
ottobre 23, 2005 alle 11:31 PM |
un’ultima cosa: non esagerate col vitello grasso. soprattutto di sera può risultare indigesto.
se non siete sicuri meglio dieci gocce di lexotan. aiutano a prendere tempo e non hanno mai ucciso nessuno.
ottobre 24, 2005 alle 1:28 am |
Ne ho bisogno. Di lexotan insomma.
Flou…
a presto,
ottobre 24, 2005 alle 1:49 am |
ho letto con molta attenzione e mi riconosco in ciò che dici. o meglio, vivo e sento il perdono nel tuo stesso modo. dici: “esistono due momenti: quello del perdono in senso stretto e quello della prosecuzione del rapporto. il perdono non è un sentimento, attenzione, ma un atto. un processo dinamico alimentato da sentimento. a differenza del sentimento, che può restare inespresso, lâatto, per sua stessa natura, determina una situazione e comporta conseguenze”.
per questo scrivevo sopra che perdonare è per me più facile che dimenticare. chi mi é davvero vicino e caro lo sa. e chi mi fa male lo fa come dici tu, dall’interno. non riesco più a scindere. ed è a quel punto che tutte le possibilità sono dolorose e dall’esito dipende un nuovo stile di vita. e nuovi comportamenti. da questi la diffidenza, il mettere alla prova persone care. da quegli esiti dipende la fiducia futura. ma di fiducia sono certa parlerai in un altro capitolo..
ottobre 24, 2005 alle 3:23 am |
analisi perfetta. sono completamente d’accordo con te ( ho solo una piccola incertezza: dai miei lontanissimi studi di teologia mi pare di ricordare, perché all’epoca mi colpì molto, che il perdono della confessione cancelli totalmente la colpa, come se non fosse mai stata commessa. per questo mi appare appunto una prerogativa divina, come tu stessa del resto sottolinei. comunque la mia è una precisazione irrilevante)e sento molto mia l’ultima parte del tuo commento. ma molto molto molto.
ah, ovviamente il mio rimprovero per l’assenza voleva solo essere un modo goffissimo per convincerti a darci un segno di vita e farti sapere che la tua mancanza si sente. Non era mia intenzione forzare il tuo bisogno di silenzio. Scusa l’indelicatezza, se ti è sembrata tale; in silenzio avrei dovuto restarci io, come sempre faccio ultimamente, quando passo di qua (ogni giorno).
‘notte
ottobre 24, 2005 alle 3:23 am |
ops, ero ancora io, Su (sloggata)
ottobre 24, 2005 alle 9:44 am |
su, l’unico perdono assoluto è quello che deriva dalle indulgenze. il purgatorio ha una funzione ulteriore: quella di convogliare la preghiera dei viventi. in questo senso, oltre a rappresentare l’ultima stanza di compensazione, ha la funzione di creare una rete cooperativa.
io non sono praticante, ma trovo che la costruzione logica della faccenda abbia un suo senso e serva ad illuminare una serie di processi e a darci un’idea di come dovrebbe andare il mondo.
nuvola, in quanto alla fiducia, non posso proprio scriverne. ne verrebbe fuori solo qualcosa di teorico o descritto a contrario, in via residuale. purtroppo io non ne ho idea, praticamente, di cosa sia la fiducia, della possibilità di affidamento a qualcuno. sotto questo profilo ho una visione molto nichilista dell’esistenza, che si rafforza ogni giorno di più e mi provoca un’angoscia insostenibile.
il mondo si regge sulla Grande Menzogna e la gente si accontenta. spreca parole come fiducia, perdono e coraggio come se gliele dessero gratis, come se non possedessero una sostanza di cui tener conto.
personalmente, e con molto dolore, percepisco il mondo come un posto insicuro.
questo è un blog in cui si parla di “passioni mal padroneggiabili”, per dirla alla Servillo. la fiducia è ben lontana dall’essere mal padroneggiabile. è un alieno, una chimera.