Dapprima venne Benito a far da mediatore. Disse che era inutile tenere il locale sfitto, che di questi tempi, vedova con un figlio a carico, un’entrata in più poteva sempre fare comodo.
Poi le parlò di don Carmine, ‘o masto d’ascia, che anche lui era rimasto vedovo, senza nemmeno la compagnia dei tre figli maschi: uno stava in America, uno in Belgio e il terzo non si doveva proprio nominare, come se fosse morto. Per via del matrimonio con quella là, la lucciola.
Il bambino ascoltava e registrava. La lucciola. E non capiva.
Che dopo qualche giorno chiese ai ragazzini del vicolo se sapevano qualcosa della moglie del terzo figlio di don Carmine, e quelli iniziarono a ridere e a sbeffeggiare, e facevano gesti con le anche.
‘a zoccola, ‘a zoccola.
E il bambino ne seppe meno di prima, confuso in questi nomi di animali. Però non fece più domande.
Allora Carmela ci pensò qualche giorno e poi gli dette un catenaccio e una chiave brunita, che lui la sera doveva spostare il maniglione e chiudere, e questo era tutto.
Cinquecento lire al mese e non dovevano entrare femmine.
Questo non me lo dovete nemmeno dire, disse don Carmine abbassando gli occhi.
E Carmela rispose: ‘on Carminie’, patti chiari e amicizia lunga.
Il bambino ci buttava un occhio ogni volta che passavano. Quattro metri per sei di trucioli e segatura. Ogni tanto una sigaretta, fumata solo a metà.
Quando passava Carmela il falegname abbassava lo sguardo per non darle soggezione e tornava dentro.
Poi c’era il retrobottega, ma là lo sguardo non arrivava e il bambino era curioso. Di spazi e lucciole.
A una cert’ora Carminiello accostava gli scuri e non faceva entrare più nessuno.
Poi un giorno disse: picciri’, vuo’ trasi’?
E il bambino rispose: non lo so, devo chiedere a mamma’.
Però in cuor suo già gli aveva detto sì e due giorni dopo approfittò del fatto che la mamma era andata a messa e si affacciò timidamente, mentre gli veniva un po’ di tosse per via della polvere.
Quanti anni tieni?, chiese don Carmine.
Ne faccio otto a marzo, rispose Luigi.
Lo sai leggere l’orologio?
Il bambino arrossì. Rispose: tengo quello di papà, ma non me lo posso mettere, devo aspettare che mi faccio grande. Quello con la catena lunga. Però lo so vedere, sì.
E intanto allungava l’occhio in fondo, per vedere se c’erano le lucciole.
Stai qua senza permesso, è ove’?, rise don Carmine, e il bambino arrossì di nuovo.
Ma voi, chiese allora recuperando coraggio, voi che ci tenete qua dietro? Che ci fate?
Costruisco orologi, rispose don Carmine, ma tu non lo devi dire a nessuno. Promesso?
Promesso, annuì Luigi, e si incrociò le dita sulle labbra e schioccò un bacio, come si faceva coi compagni. Voleva chiedere perché, ma poi se ne scordò, all’istante.
Vieni, vieni a vedere, guaglio’, e Carmine accostò gli scuri e lo spinse verso il fondo.
E all’improvviso lo stanzone prese luce, dovevano essere le lucciole.
Luigi strizzò gli occhi e vide dei fili stesi come per il bucato. E appesi c’erano orologi ad asciugare, tenuti dalle mollette di legno. I più grandi appoggiati per terra, dove si dilatavano e ancora sgocciolavano in rivoletti dorati.
Il bambino deglutì e un poco era pure spaventato, ma don Carmine non gli faceva paura, no.
Era solo che non capiva e se poi tornava mamma’ passava un brutto quarto d’ora.
Ma questi li fate voi?, chiese così, tanto per rompere il ghiaccio.
Sì, rispose don Carmine, questi sono gli orologi delle ore perse, stanno tutti ammosciati. Per terra invece ci stanno quelli che dilatano il tempo, quando stai facendo una cosa bella e vorresti che non finisse mai.
E in un angolo certe clessidre piene d’acqua che scendeva goccia a goccia e man mano cambiava colore, che don Carmine gli spiegò che quello era l’orologio delle femmine sole, che cambiavano colori e umori secondo la giornata.
Poi su una mensoletta un cucù che non trovava pace e ogni volta si inventava una canzone nuova, che segnava il tempo e i cattivi pensieri.
Mo’ si è fatto tardi, me ne devo andare, disse il bambino, che già pensava a che scusa inventarsi per giustificare il pomeriggio
E sulla soglia gli voleva chiedere il fatto delle lucciole, ma don Carmine gli accarezzò la testa e disse, come parlando a se stesso: l’orologio pe’ nun crescere mai, chillo no, nun ‘o saccio fa’.
Che a Luigi un poco gli veniva da piangere, ma doveva essere per via della segatura. Che gli pizzicava nel naso e in gola.
gennaio 16, 2006 alle 7:35 am |
E di rorologi del tempo dilatato ne ha lasciato uno , don Carmine, qui sul blog. Che quando inizi a leggere, non vorresti finire…
Buona giornata, Flo’
gennaio 16, 2006 alle 9:18 am |
SCUSI SE HO VENTUO
IO SONO MABUSE TINO DI PAVIA
HO VISTOSUO LI
CERA SCITTO DA SINGRA DI PRIMA
LHA DETO ANCHE STAMTTINA LA MIA SINGORINA PAOLA
VAI ANCHE Lì CON INTENTET COS’ì IMPARI A SCRIVERE BENISSIMO
CHE FAI UNCASINO DI ERORRI
IO SONO VNEUTO MA CI DEVO PENDSRE UN PO CHE NO HO CPAITO UN CAZO DIQUESTO BENITO SCUSISE DICO
NO HO SUTDIATO TUTTO
MAPOI LO RIGELGO BENE BENE
SCUSISE HO VENTUO SE NON VUOENON LEGO PIù
MALA SGINRINA PAOLA DICE DI SCIVERE
CHE SO CONTARE TANTE STORIE CHELEFAACIOVENIRE UNATESTA COS’
ALLORA IO VENGO
SCUSI SON
OTIN OMABUSE
gennaio 16, 2006 alle 10:08 am |
potente è, così, l’inizio delle settimana, e prometta di regalarci sempre dei minuti così.
Un giorno Luigi crescerà , ma non del tutto, ma non del tutto.
gennaio 16, 2006 alle 10:29 am |
…senza parole…
gennaio 16, 2006 alle 11:13 am |
E’ il pezzo più bello che abbia mai letto su un blog. Questo me lo copio, lo imparo a memoria, lo ammorbidisco appena appena una ‘ntecchia e poi stasera lo racconto a mia figlia piccola quando la metto a dormire. E’ un onore, per me, conoscerti.
gennaio 16, 2006 alle 11:47 am |
a questo Benito qua gli mancava un gamba, se l’era sfracellata subito dopo la guerra, quando con gli altri scugnizzi si agrappava dietro ai filobus per viaggiare a sbafo. nemmeno per questo, in verità . solo per dimostrare chi restava più tempo appeso senza cadere.
e quel giorno lui era caduto, sì, ma non prima di aver percoso tutto il corso Garibaldi, fino a piazza Principe Umberto.
che per questo poi era diventato ‘o caporione del borgo Sant’Antonio Abate.
calma, tu mi commuovi. e dire che fa anche freddo.
mabuse, tu sei il benvenuto. che io già ero invidiosa che andavo dalle altre signore e da me no. e mi son chiesta: ma che ci avò, io, meno della signorina Paola?
riccio, e c’erano altri orologi di cui non ho fatto menzione. quelli che segnavano sempre la stessa ora, per esempio. che rano un primo esperimento per non crescere mai, e invece no, non funzionavano, perché il tempo si rattrappiva, si annoiava e faceva le bizze.
effe, non crescerà mai del tutto, no. e continuerà ad avere un po’ paura della stampella di Benito, anche oggi che ha più ottant’anni e non può fare male a nessuno.
hobbs, disegni. disegni.
disegni di orologi, ad esempio.
gennaio 16, 2006 alle 11:54 am |
Sssshhhhh……..
gennaio 16, 2006 alle 12:05 pm |
…sarebbe bellissimo, questa non è una fiaba forse? :)…
gennaio 16, 2006 alle 12:10 pm |
mi piacerebbe a volte l’idea di un piccolo libro con i migliori scritti della rete e i bloggèr bravi disegnatori come te e quell’altra là , l’amica mia, ad illustrarli.
anche per i bambini grandi.
gennaio 16, 2006 alle 12:14 pm |
E’ un bel post, come sempre. Mi ha ricordato un vecchio libro di racconti di Giovanni Mosca, che chissà dov’è finito. Col tempo, appunto, rischio di perderci anche le cose belle.
gennaio 16, 2006 alle 1:17 pm |
SCUSI SE VENGO DI UNOVO SON CONTENTO
CHENON MIHA BUTTATO VIA COEM FACEVANO UNAVOLTA DI UN FORUM BRUTO CHE MI PREDEVAN PER ILCULO
SCISI SIGNORA LEI è GENTILE COSì IO VENGO QUI
CHE DA CERTE SIGNRE SI STA BENE
CERTI MASCHI INVECE DICNO SEI COLGIONE BRUTO TU E SCEMO
CHE IO DICO CHELE DONESONO PIÃ BRAVE
I MASCHI SONO PIù CATTIVI SCSAANO TANTO
E DICONO SCEMO
IO NO
NO DICO
PERò DOPO LEGO BENE
E SE VUOELERAAOCNTO UNA STOTRIA ANCHE A LEI
DI MIO ZIO BERTINO CHENE SA TANTE E ANCHEIO NE SO TANTE MA NON COMELUI
IO SONO MABUSE TINO
DI PAVIA
SCUSI SE HO VENTUO
MA POI VDENGO DI NUOVO
E
gennaio 16, 2006 alle 2:36 pm |
Voglio anch’io Mabuse. Più tardi ti leggo, Flo’. Sono passato di qui per mostrarti il mio migliore profilo (vd foto).
A dopo
gennaio 16, 2006 alle 2:48 pm |
clim, sei bellissima.
gennaio 16, 2006 alle 6:19 pm |
Mi è piaciuta molto questa storia, e poi mi piacciono le storie un po’ surreali. All’inizio mi aspettavo una specie di tragedia del Sud, invece no.
Invece non so se mi piace il punto dopo segatura, ma se piace a te benvenga, che te puozze dicere…
gennaio 16, 2006 alle 7:06 pm |
A volte, si vorrebbe anche tornare a essere bambini.
gennaio 16, 2006 alle 7:33 pm |
Cara Flo,
Il racconto è favoloso, sfila via come una bibita fresca dolce delicata che ti inzuppa il core ed alla fin fine ti fa star bene; debbo dire, tanto per fare analisi, che il linguaggio è bello sciolto e felice, appropriato e nel narrare hai saputo creare anche un’atmosfera di sottile suspence, senso di attesa che dall’inizio si protrae fino al finale.
Ed ha pure una sua morale.
Proprio bello!
Però: il mio però è che questo è un racconto che ha ambizione letteraria: non venirmi a dire che è un raccontino solo da blog e via così, un oggetto, un prodotto di consumo momentaneo e poi chi se lo ricorda più.
E’ qualcosa di più è una specie di parabola. Ora, io mi sono abituato anche a leggere, per aggiornarmi, narrativa di giovani ventenni e trentenni pubblicati e no, (visto che scrivo anch’io), romanzi e racconti no fiction, che spesso non mi piacciono(ma alcuni sono buoni), e questo tuo racconto lo trovo tanto lontano da questi filoni contemporanei.
Con ciò volevo arrivare a dire: io questo racconto lo trovo quasi fuori tempo perché senza tempo lo è, potrebbe essere stato scritto circa cinquanta anni fa da un buon scittore/rice.
O è un racconto di valori e fantasie universali?
Questa mia critica non dice infatti: è brutto, anziâ¦
Sono perplesso e la mia più che una critica è una domanda a te Flounder ed a me stesso.
Possiamo permetterci di scrivere racconti fuori tempo senza finire nella letteratura di puro intrattenimento o passatempo?
MarioB.
gennaio 16, 2006 alle 9:03 pm |
sei. (IMMENSA). deb
gennaio 16, 2006 alle 9:07 pm |
certo che questo racconto merita alberi tagliati. ma fosse stato (solo) su carta, chissa’ quando l’avrei letto.
al
gennaio 16, 2006 alle 9:30 pm |
mario, questa domanda mi lascia in difficoltà . non so rispondere, ma forse non la capisco nemmeno.
voglio dire: scriviamo perché ci piace. molto spesso io non penso nemmeno: sono pezzi di storie della mia infanzia e li ricostruisco esattamente come li vedevo da bambina, senza spostare una virgola. e in questo QuotaZero ha ragione: bisogna fare un grosso sforzo per riappropiarsi dei ricordi senza trasformarli troppo strada facendo.
prima non ne ero capace, ma da quando ho una figlia mi capita di vedere il mondo con i suoi occhi e sono riuscita a ripescare dal passato molte più cose di quanto immaginassi.
non mi accorgo nemmeno del fatto che possa esserci o meno una parabola, molto spesso è tutto decisamente inconsapevole.
è per tentativi: a volte escono cose stucchevoli e infantili, a volte cose più potenti, senza cernita alcuna.
allora forse parli del discorso del mezzo, nel senso che ci sono storie che dovrebbero essere messe altrove?
ma dove?
io non ho un altrove, ho solo questo, e non ho neppure la capacità di starmene isolata a scrivere senza confronti immediati.
tu dici: bene di rapido consumo. forse sì, è vero, si va troppo veloci, ma è anche vero che poi tutti questi post restano perennemente affissi e possono essere ripescati.
così: Possiamo permetterci di scrivere racconti fuori tempo senza finire nella letteratura di puro intrattenimento o passatempo? diventa una domanda troppo difficile.
parliamone.
michele, il punto dopo segatura è un’aggiunta postuma, in effetti, che lascia dubbiosa anche me. l’ho scritto e cancellato diverse volte, senza riuscire a decidermi.
gennaio 16, 2006 alle 9:40 pm |
come pure ci sono cose di cui mi accorgo solo rileggendo, e allora collego fatti ad altri fatti, che non sono mai riuscita a dirmi.
per esempio l’orologio delle donne sole: il falegname lo riferisce alla donna che gli ha affittato il locale, che è vedova?
ecco, secondo me sì.
ma lo so solo dopo, perché per un attimo ho un flash di uno sguardo che lui, don Carmine, gettava a mia nonna, vedova tutta d’un pezzo.
quello sguardo senza nome e con una sostanza tutta sua deve essere rimasto infilato in qualche cluster di memoria. ne viene fuori con la stessa sostanza.
ma io a freddo, io non so nominarlo.
(spero di essermi spiegata)
gennaio 16, 2006 alle 9:48 pm |
…a me il punto dopo segatura fa venire le lacrime e me lo prendo anche. ecco…
gennaio 16, 2006 alle 9:49 pm |
…ma la virgola dopo “nuova” mi strugge :)…
gennaio 16, 2006 alle 10:20 pm |
Ciao Flo. Bellissimo, come sempre.
gennaio 16, 2006 alle 10:51 pm |
l’immagine dell’impossibile orologio per non crescere mai è fantastica
gennaio 17, 2006 alle 9:46 am |
però voglio dire una cosa, seguendo MarioB et alia.
Che il blog è anche un esercizio costante di lettura, e affina i sensi e l’attenzione.
Intendo dire, e parlo anche solo del passato recente, che ci sono stati altri post Piccoli e Maniaci molto belli, di cui ancora posso citare a memoria brevi passaggi, eppure lo abbiamo compreso tutti, lo abbiamo saputo tutti, e subito, in qualche modo, che questo è un racconto speciale, un racconto che possiede il dono, un racconto che ha vita a sé.
gennaio 17, 2006 alle 10:25 am |
il punto è che qui, su questo blog, si costruiscono orologi. di quelli che hanno le parole al posto dei numeri, e segnano ore inventate, ore da venire, ore fermissime a leggere senza consumare mai quello che si legge (che è il tempo interno che hanno solo le cose davvero belle, blog o non blog).
ah, e con i punti tutti al punto giusto, all’ora esatta.
gennaio 17, 2006 alle 1:44 pm |
Io ne voglio uno senza lancette, per quando il tempo non conta.Me lo costruirà Luigi, che tanto lo so che ha imparato.
gennaio 17, 2006 alle 10:15 pm |
che bello leggerti.
gennaio 17, 2006 alle 10:24 pm |
(..) passo in silenzio, e leggo, leggo
gennaio 17, 2006 alle 10:35 pm |
Bellissimo..
brava Flo
gennaio 18, 2006 alle 12:04 am |
adesso mi è venuta l’ansia da prestazione.
per tutto il resto della settimana scriverò solo cose bruttissime.
anche più che bruttissime. urèèènde.
e fermerò anche gli orologi.
taglierò i fili del telefono, regalerò un osso al cane affinché non abbai.
farò tacere il pianoforte e i risonanti tamburi.
ecco.
gennaio 18, 2006 alle 10:06 am |
fanatica
gennaio 18, 2006 alle 10:47 am |
saranno contenti i vicini.
gennaio 18, 2006 alle 11:02 am |
non credo tu riusciresti a scrivere mai cose orrende.
questo racconto è talmente perfetto che verrebbe voglia di spezzare qualcosa, con una parola fuori posto, ad esempio, come il braccio alla venere di milo, o la testa alla nike di samotracia, per renderlo, se possibile, ancora più bello.
(ovvio che devi sapere cosa spezzare. la venere senza una gamba sarebbe brutta. ma che te lo dico a fare a te, che le cose senza gambe le conosci benissimo)
gennaio 18, 2006 alle 11:10 am |
(epperò adesso potresti essere accusata pure di plagio!) ecco.
gennaio 18, 2006 alle 11:18 am |
elena, mi spiace ma il racconto non e’ perfetto.
al penultimo comma, c’e’ “soglia” anziche’ “sogliola”.
gennaio 18, 2006 alle 11:22 am |
gennaio 18, 2006 alle 11:24 am |
un racconto bellissimo, su su, scrivine un altro che ultimamente sei magica.
gennaio 18, 2006 alle 11:45 am |
all, hai ragione, questo è un postittico… anche al fondo c’è un errore: che gli pizzicava nel naso e in vongola.
(flou, puoi uccidermi come un’aragosta. piangerò.)
gennaio 18, 2006 alle 1:42 pm |
è una giornata campale.
poi torno stasera e vi insulto a dovere.
gennaio 18, 2006 alle 1:59 pm |
:-)) non so cosa dire ma un ciao e basta oggi ci sta 🙂
cec
gennaio 18, 2006 alle 7:12 pm |
cara Flo
io ci avrei tutto un seguito di discorso da fare ma non vorrei imperversare,
avendo pure il pc incasinato e scrivo con mezzo di emergenza schifido precario cococo, ecco
poi ti dico
MarioB.
gennaio 18, 2006 alle 9:55 pm |
non mi posso allontanare un momento che voi subito a fare gli spiritosi. e pure della fanatica, che mai mi era stato detto prima d’ora, mai.
in segno di protesta (e palese fanatismo) non risponderò.
gennaio 19, 2006 alle 10:11 am |
la miseria, flo, guarda cosa mi ero persa. poi hai fermato gli orologi, e l’ho riletto tre volte.
gennaio 19, 2006 alle 11:15 am |
Cara Flounder
Vado di seguito al mio discorso precedente imbastito nei commenti al tuo racconto del mastro orologiaio. Scrivo per chiariti e soprattutto per chiarire a me, insomma per chiarirci, fare lume in questo luogo oscuro che mi pare il labirinto della letteratura contemporanea.
Ora io sono venuto in Italia su in un epoca in cui c’era la letteratura bella e la letteratura brutta, la parrocchia e i comunisti,( tutti e due manichei) un’epoca terribilmente dicotomica, c’erano sì i grandi, i russi, i francesi, gli inglesi, gli americani poi qualche italiano.
C’erano pochi scrittori in Italia, era una paese che usciva da una guerra di semianalfabeti poveracci infarinati di una falsa romanità e un cretino impero, pochissimi in percentuale apprezzavano la cultura propria regionale che il fascismo aveva cercato di distruggere. C’erano ancora Liala e qualche romanziera/e rosa, due o tre invisi giallisti non parliamo di fantascienza, roba da malati. C’era la “letteratura” e la paccottiglia riprovata dalla cultura ufficiale come “romanzi d’evasione”.
Mi sono travato a nascere in quegli anni, per cui in me è rimasto un imprinting di approccio alla narrativa in parte manicheo, che cerco di correggere, non mi sono formato in Inghilterra dove da almeno due secoli i giallisti, gli umoristi, gli scrittori fantastici avevano nomea, gloria, guadagno e stima.
( Voglio qui ricordare come, poco più di venti anni fa venisse avversato in tutti i modi Tolkien perché ritenuto “reazionario” “pura evasione” quando non fascista: ci furono polemiche infuocate per mesi anche su Linus. Quando fu creata l’Adelphi con le uscite dei suoi primi romanzi visionari destò scalpore presso i soliti soloni lukacksiani)
Ho cercato proprio di correggermi in questi ultimi anni ripraticando la scrittura e leggendo molti contemporanei italiani e non, notando come tante etichette cambino e volgano in diverso, come i generi ritenuti riprovevoli un tempo dalla cultura della sinistra ufficiale ora tranquillamente prosperino se non trionfino.
Credo che l’evoluzione sia positiva poiché permette vita e considerazione di vari generi e stili artistici contemporaneamente, come nelle arti “figurative” contemporanee; tuttavia brucianti polemiche vengono ancora accese da parte di alcuni personaggi (mi riferisco alle contese su Restaurazione e non, letteratura d’impegno sociale, complottistica tutte ampiamente e ferocemente dibattute su Nazione Indiana, Vibrisse, Carmilla & company). Esiste tutta una corrente giovanile e non (no fiction) di scrittori che manicheamente ritengono oggi validi solo i testi ambientati nel contemporaneo, realisti, attendibili e su certe riviste sono gli unici narratori ritenuti validi.
Quando tu scrivi un racconto con venature di realismo magico, di fantastico, di surreale o vai a scherzare dadaeggiando subito trovi il furbo che ti spara: cazzate! non considerando che in Italia si sono vendute tonnellate di Melisse e DanBrown e che quindi, come dice Busi, qui esistono moltissimi cattivi lettori. Le dette semplicistiche diagnosi, che fanno di tutta l’erba un fascio, cominciano a perdere di forza, per fortuna.
Quindi uno quando scrive( si intenda con passione ed impegno) dovrebbe fottersene degli stili altrui correnti e scrivere ciò che sente: o no?
La domanda ancora mia è sempre la stessa: ma sono attuale? ciò che scrivo è veramente testimonianza del mio tempo o è un rieccheggiare temi, stili, sensazioni e atmosfere vissute leggendo altri scrittori?
Io mi rispondo: in gioventù ero talmente innamorato di Pavese che come un incosciente scrivevo imitandolo e non me ne accorgevo nemmeno, mi sentivo come lui.
Poi un tale, uno importante e sveglio, mi ha dato uno scrollone.
Quando ho ripreso a scrivere in prosa, dopo circa trent’anni, mi sono proposto di cercare ed elaborare dentro di me un modo di scrivere, un linguaggio, dei temi che esprimessero la mia persona intera, fisica e mentale; ho cercato di costruirmi giorno per giorno uno stile personale, non solo come scelta estetica, ma come ricerca del Sé, nel profondo. Ovvero nel scelta della parola, del motto, della costruzione ho tentato la scoperta di una parte nostra inconscia quasi dormiente, riposta che si può manifestare soltanto con la più assoluta sincerità con sé stessi, in uno stato di sottile ascolto.
E’ una sorta di alchimia: operare nello e con lo scrivere quasi cercando un distillato di sé stessi; cioè praticamente la scrittura, l’Arte più che un fine diventa anche un potente mezzo di consapevolezza ed anche, a volte, di autoterapia/artetarapia.
E’ in fondo, anche, dico anche, la ricerca anche di uno stato mentale, forse di uno stato alterato di coscienza ove cessano le “vritti”, i turbamenti della mente, le preoccupazioni, le ansie per lasciare luogo ad una assorta silente serena concentrazione.
MarioB.
gennaio 19, 2006 alle 2:52 pm |
l’ultima frase.
per me è quella. è la stessa concentrazione che sperimento in pochissimi altri istanti, in cui sono totalmente assente a me stessa e al tempo stesso presente.
e in quella forma di presenza lì non si può essere contemporanei, o almeno io non ci riesco.
è la forma in cui io mi sento vecchia, antica, in disaccordo con i tempi o forse semplicemente senza tempo.
poi credo sia una scelta, se scrivere per testimoniare il tempo esterno o quello interno. e nemmeno una scelta troppo ponderata, piuttosto un’attitudine.
tu scrivi libri veri, con trame e tempi.
forse l’esigenza di come collocarti ti si pone in modo più forte.
io sono solo frammenti, squarci.
e forse – oltre che per ignoranza, per aver letto poco e molto confusamente- è anche per questo che non sono in grado di valutare la questione e comprenderla.
so che a volte mi annoio di me, del mio scrivere, di una certa monotonia di fondo, come se non riuscissi a uscire da quel recinto. in realtà mi annoio dei miei personalissimi contenuti, quelli esistenziali.
così che certi giorni chiuderei il blog e aprirei un ristorante, ad esempio.
maggio 10, 2013 alle 7:19 pm |
[…] trasmigrazione del blog, mi accorgo che alcuni post sono andati perduti. Questo, ad esempio. Questo lo volevo moltissimo. Lo volevo oggi, che mi è tornato in mente all’improvviso, […]