Regalo di Natale

A  metà  della notte la  ragazza si alzò per vomitare tutto quello che aveva in corpo.

Che non era poi tanto: una serie di alcolici, buttati giù a digiuno, qualche pasticca e null’altro. Ma lungo le pareti dell’esofago le bruciava tutto, come ad aver ingoiato pezzi di lamette da barba.

Conosceva anche quello, il dolore che provoca l’acciaio sottile sulla carne, sulle vene. Non ha nulla a che fare con il taglio di un coltello, quello da lametta è un dolore che brucia.

Non avrebbe saputo spiegarlo meglio.

Lasciò l’acqua a scrosciare, non voleva che in casa si svegliassero.

Non si sarebbero preoccupati, questo è certo. L’avrebbero guardata come al solito, alcuni con lo sguardo vacuo, altri indifferente.

Sua sorella  avrebbe ripetuto che era solo una ragazzetta viziata ed esibizionista, come quella volta che in piena estate l’aveva costretta a indossare una maglia che le copriva le braccia fino ai polsi, perché il vicinato non si avvedesse dei lividi nella piega dei gomiti.

Da allora girava sempre così, che fosse estate o inverno: non le interessava ostentare debolezze o diversità.

La roba la comprava buona, suo padre non voleva storie. Aveva capito, ma non voleva sapere.

L’unica cosa di cui si premurava è che non finissero sui giornali per storie sconce.

Così andava tutto bene. Perfetto e asettico.

A volte cercava di combattersi da sola. Si legava alla sedia per studiare, nella stanzetta che avevano ricavato in mansarda, che era il suo regno, ma anche un’isola separata dal resto della famiglia. Restava seduta fino a schiumare di bava e poi cedeva.

Ma rafforzava il carattere con piccole dilatazioni temporali, offrendosi ogni volta qualche minuto di attesa in più. Ed era già qualcosa, dopotutto.

Era difficile essere l’ultima di quattro figli, per di più con una tale differenza di età.

Forse era stata anche colpa della madre – così pensava – nell’averla sempre tenuta isolata, lontana dai fratelli. Iperprotetta, ma in un modo che non avrebbe saputo spiegare.

Se la ricordava anni e anni prima, dopo l’intervento alle mani. La madre inginocchiata ai suoi piedi che piangeva, guardando quelle mani bambine risistemate con lunghi interventi di chirurgia. Era nata con le dita unite e sua madre si disperava: è tutta colpa mia, il Signore ha voluto punirmi.

Piangeva per ore, per giorni.

Fino a quella giornata di Natale, molti anni dopo.

Forse è da lì che le cose avevano iniziato definitivamente a peggiorare, che avevano imboccato questa china e da quel momento non era stato più possibile fermarsi. Si scendeva a precipizio, a rotta di collo verso il baratro.

C’è Maria?, aveva chiesto la voce maschile al telefono.

Avevano risposto insieme, dai due apparecchi di casa: suo padre dal soggiorno e Maria, sua madre, dalla stanza da letto.

La donna tratteneva il respiro mentre suo marito rispondeva netto: qui non c’è nessuna Maria.

La voce dello sconosciuto insisteva: sono un suo vecchio collega, vorrei farle gli auguri di Natale.

Ma il marito confermava: qui non ci sono Marie.

E lungo il filo il tremito della donna mandava piccole scosse a tutta la casa, alla strada, alla città, fino al Padreterno, che ancora una volta, forse, cercava di impietosire.

Poi ci si mise a tavola, lei sempre isolata. Regali scambiati per convenzione.

Sua sorella le offrì degli orecchini pendenti. Claudia ringraziò e mentalmente le sussurrò: stronza.

E poi fu nei giorni seguenti, tra Natale e Capodanno, quando in casa non c’era nessuno, che l’uomo telefonò ancora e parlò con lei.

C’è Maria?

Mia madre non c’è, disse la ragazza.

Ma lei è..lei è la figlia? L’ultima figlia, Claudia?

La ragazza si irrigidì: Claudio, l’ultimo figlio, sì.

Ma Maria aveva avuto una bambina, lo ricordo bene. Diceva l’uomo agitato, perduto.

No, si sbaglia, sono io. Claudio.

Era una bambina con un piccolo problema alle mani. Sono stato molto vicino a sua madre, in quel periodo, ero un suo collega.

Mi spiace, non so cosa dirle. Anche io ho avuto un problema alle mani, ma sono Claudio, l’ultimo figlio di Maria.

E’ sicura?, chiedeva ancora l’uomo, aggrappandosi all’altra estremità del cavo, come a sentirsi recidere l’ultimo pezzo di vita.

Sì, ne sono certo.

Chiuse la telefonata e pensò all’uomo. Poi a quello che da sempre chiamava padre, scoprendone improvvisamente le ragioni della distanza e del disinteresse, poi a Maria, ai suoi fratelli, a sua sorella. Poi andò a ballare, che le notti lunghe vanno ammazzate perché non ci ammazzino.

Lei era Claudio.

A una sola persona non aveva avuto il coraggio di mentire: all’uomo del telefono.

Tanto non avrebbe mai più saputo chi era, non lo avrebbe mai incontrato.

Bastava questo, come dono: suo padre, suo figlio.

Impacchettati insieme con delicata e iridescente carta di menzogna, senza biglietto d’auguri.

(questa storia si lega con questa, ed è sempre dedicata a S., la cui vita posso solo ricostruire con estrema umiltà e per frammenti)

18 Risposte to “Regalo di Natale”

  1. fuoridaidenti Says:

    Altro non mi viene da dire che quanto al commento numero #13 del post che linki in calce.

  2. utente anonimo Says:

    (stavo per scrivere quanto questa mi ricordasse un’altra ragazza, quella che se ne andava via in motorino e degli anni migliori.
    poi ho seguito il link, e un po’ ci sono rimasta)

    lisa

  3. cf25302015 Says:

    sai raccontare una storia complessa in modo delicato e anche duro, reale.
    Sono andata a leggermi anche il link e ritrovo le stesse sensazioni.
    gli anni migliori.
    già.

  4. Effe Says:

    non è semplice.
    No, non è semplice.
    Ci sono dolori, ma anche il diritto a essere felicei, un po’ e per breve.
    Ci si può accostare tra le righe, un po’ a parte, con fiato sospeso.
    Si può scrivere, strappandosi via le parole da qualche posto dentro che non so.

  5. Flounder Says:

    quando mi hanno chiesto di scrivere questa storia, avevo in mente qualcosa di organico, enorme.
    ma via via mi sono resa conto che è difficile.
    per scrivere delle persone, devi esserne parecchio lontano, non averci alcun legame o averle già relegate nella sfera ricordi. osservare un certo distaco e non esserne coinvolta.
    in caso contrario, il massimo che si possa fare è procedere per brevi flash, distanziati nel tempo.

  6. Flounder Says:

    stamattina mi sono accorta che questo racconto è una specie di Presepe: c’è Maria, c’è il padre putativo, ci sono i Re Magi, il bambino e la voce del Padre, via cavo.

  7. riccionascosto Says:

    Hai ragione, Flo’

    Ci sono delle storie in cui puoi entrare solo in punta di piedi, senza fare rumore.

    Ci sono storie che puoi raccontare solo da lontano, come se fossero quadri enormi e la vicinanza ti impedisse di coglierne i particolari, e allo stesso tempo ti intossicasse con i vapori delle vernici.

    (la distanza. di tempo e di spazio. a volte, l’unica soluzione)

  8. MosakSlot Says:

    ciao flo.

    ci si legge per inerzia, oramai, ma bello, davvero.

  9. Raide Says:

    Sono certa che la tua vita sia intensa nel modo più magico, terribilmente frizzante come le parole che usi, complessa come l etue emozioni.

  10. ipsediggy Says:

    le verità contate agli sconosciuti vivono di onestà propria.
    tu le sai contare.

  11. utente anonimo Says:

    quanto al cavo del Padre, chissà quanto è lungo
    (in ogni caso, è considerata chiamata verso l’estero?)

  12. Zu Says:

    [Sì, ma bisogna usare il prefisso, il crocifisso non funziona (e difatti poveretto urlò al provider che lo aveva abbandonato).]

  13. Effe Says:

    (fui Effe, sotto, anonimo e cavo)
    Ma la linea, la linea è sempre disturbata, io chiamo e mi risponde un extracomunitario, uno che parla un qualche dialetto mediorientale, credo, e io a dirgi Padre, sono Effe, e quall’altro non capisce, poi si sente rumor di folgore e la linea si interrompe

  14. MariaStrofa Says:

    “è una specie di Presepe: c’è Maria”

    Eccomi, buonasera a tutti.

  15. Flounder Says:

    che poi ieri sera, per purto spiritodicontraddizioneeironiadella sorte, mi sono portata a vedere “Mater Natura”, che oltre ad essermi piaciuto moltissimo, aveva un favoloso Enzo Moscato, delicatissimo nell’interpretare la baby sitter tutta al femminile in un quartiere degradato.
    e mi è venuto in mente uno spettacolo teatrale di moltissimi anni fa, di Annibale Ruccello: Mamma, storie di mamme metropolitane interpretate da un uomo.
    (ve li dovete vedere tutti, tutti)

    che poi non so negli altri posti d’Italia, ma qui a Napoli il femmeniello ha fatto sempre parte della cultura nostra, integrato e mai fonte di discriminazione.

  16. utente anonimo Says:

    è bella leggerla, questa storia; terribile, troppo, averla vissuta.
    brava sei.

  17. Flounder Says:

    devo ringraziare te, per avermela ritirata fuori.

  18. utente anonimo Says:

    e siamo o non siamo elettroni condivisi? alla faccia dei paranoici regressivi scissi

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