La Medea del Miglio d'Oro

C’era stata la passione.

E’ così che avrebbe detto, che avrebbe raccontato. Se solo fosse stata una di quelle con la capacità di raccontare e dire, se solo il momento avesse poi recuperato una sua dolcezza e la tranquillità delle cose a venire, dei giorni che si susseguono con naturalezza e gioia.

E invece.

Nun te si’ stata accorta?, aveva chiesto la vecchia.

Aveva abbassato il capo e lo sguardo, vergognandosene.

Si era guardata la pancia ancora piatta e che pure pulsava.

La passione non ha colpe.

Così avrebbe risposto, se fosse stata una di quelle in grado di rispondere.

E invece.

Io ‘stu criaturo nun ‘o posso tene’.

Era l’unica cosa che era stata in grado di dire.

Assu’, aveva allora chiesto l’anziana donna seduta su una sedia di legno, le gambe grasse e divaricate, con i gambaletti al ginocchio nonostante il caldo. Indicandoli col dito aveva aggiunto: quando fa caldo me prudono ‘e cosce, si nun faccio accussì me gratto ‘a sanghe. Assù, ma il padre non lo vuole?

Assunta aveva rialzato il capo. Fiera, questa volta: nun sape niente e nun adda sape’ niente.

Così si sarebbe salvata, così non lo avrebbe perduto, ne era certa.

Figli no, lui non ne voleva. Ne aveva già due, in uno dei quartieri orientali, in una casa abitata da una donna spenta, dove la notte scendeva spesso silenziosa, a volte accompagnata da un suono di schiaffi.

Se vengo a sape’ che tieni a ‘n’ata, io l’accido. Poi ammazzo ‘e criature e me votto abbascio. Te lascio sulo comm’a ’nu cane e ‘na maledizione ‘n cuorpo.

Così  aveva detto sua moglie, mesi prima. Lo ripeteva senza urlare, con una furia pacata e gelida nello sguardo.

Allora lui usciva sbattendo la porta e attraversava le strade a piedi, con i pugni stretti e la mascella contratta. Faceva il giro dell’isolato e risaliva. Senza neppure una parola, senza la volontà di contraddirla e rassicurarla e nemmeno il coraggio spaccone di dire che no, non gli importava niente.

Assunta era troppo giovane, lo sapeva. Aveva diritto ad altro.

Eppure ogni volta la tentazione si insinuava e gli faceva dimenticare tutto.

E’ l’ultima volta, si diceva per convincersi, per perdonarsi.

E’ l’ultima volta, e il seme le scivolava tra le cosce, misto al sudore di un’estate affannata, di una stagione che era un vicolo cieco ma lungo, lunghissimo. Che a percorrerlo tutto avrebbe avuto bisogno di un’altra vita.

La vecchia guardava Assunta.

Non era uno sguardo complice e nemmeno sprezzante.

Di storie come quelle ne aveva conosciute a centinaia. Eppure questa fierezza riusciva a colpirla ancora un poco. Nessuna paura, nessuna disperazione. Un soppesare lucido di opportunità: la passione non ha colpe. Come se si trattasse d’altro, come la neve d’estate. Qualcosa di così grande, così inatteso da far passare in secondo piano tutto il resto, le campagne gelate e tutto quanto.

Riparare il danno, eliminare le piante bruciate e andare avanti, come se niente fosse accaduto.

La sera lui le si era ripresentato in casa, le aveva visto un’ombra attaccata alla schiena, impigliata nei capelli.

Che è, che tieni?

Niente, nun tengo niente.

E poi aveva chiuso gli occhi, si era ritirata in quella zona dove non esiste più nulla.

Io voglio sulo ‘a te, aveva poi aggiunto con una durezza nella voce.

Aveva allungato la mano, lui, con un gesto innocuo, a toccarle la pancia vuota. E subito con uno scatto lei si era raggomitolata su un fianco, puntandogli contro le ginocchia.

Io sono maledetto.

E’ così che avrebbe detto, alzandosi e prendendo le sue cose. Se solo fosse stato uno di quelli capace di avere più paura che rabbia. O più forza che fame.

E invece.

Le aveva preso la mano e se l’era portata tra le gambe, l’aveva premuta con forza.

Nei quartieri orientali il sole era già tramontato da un poco, calava la notte.

Dalla finestra di Assunta invece si vedeva ancora una lingua di fuoco.

Una lingua di fuoco. Assunta.

E’ così che avrebbe detto, se avesse saputo dirlo,  chiudendo gli occhi e slacciandosi la cerniera.

51 Risposte to “La Medea del Miglio d'Oro”

  1. Modesta Says:

    brava

  2. hobbs Says:

    sai raccontare, tu.

  3. Borbonico Says:

    Mi fa piacere che abbiamo condiviso lo stesso posto, ciao.

  4. atvardi Says:

    Hobbs ha usato tre parole, Modesta una. Io non dico niente, va’.

  5. Flounder Says:

    non saprei che dirvi.
    (è che vorrei dirne così tante, di cose, che non la finirei più).

    da qualche mese leggo questo signore qui. è molto bravo a mettermi ordine nella scrittura, a farmi prendere un piglio più contenuto, a definire ciò che normalmente io faccio d’istinto, e dunque in modo meno controllabile.
    infatti scrivo molte meno storie.

    e poi.
    poi ci sono cose che nascono da pensieri mozzati, da pensieri che si interrompono perché fanno un po’ paura e allora prendono corpo altrove, hanno bisogno di trasferirsi, di diventare distanti.
    ci sono storie che pur non riguardandoci affatto contengono qualcosa di talmente intimo che spaventa.

  6. hobbs Says:

    io che più che scrivere, balbetto, dell’istinto ho bisogno almeno quanto della mancanza di controllo. Ogni volta che riordino o mi pare almeno che ce ne sia bisogno, non mi torna più niente, nemmeno i suoni. (e penso alle pause, e ai periodi apparentemente tronchi, o mozzi, come li hai chiamati tu) Poi quasi mai so veramente dove vado a parare, ma io con la scrittura c’entro un cazzo e niente e quindi potrei anche chiuderla qui. E invece volevo dirti che il mio “sai raccontare” aveva molto a che fare proprio con il tuo scrivere (meno) storie, e alla voglia che viene in chi legge, di stare seduto ad ascoltare (te).

  7. Flounder Says:

    che cosa bella.
    un poco mi imbarazzo.

  8. Laooconte Says:

    “signore” è un parolone. e ti ringrazio che parli di me di nascosto 🙂

    detto questo, penso che acquisire la tecnica, renderla esplicita, catalogare alcuni meccanismi, intabellarli per capirne il funzionamento, a volte blocca il “sistema creativo”.
    ma credo anche che aiuti a creare un tappo, o un filtro, che la volta che riesci a sturare hai tante di quelle cose da dire e da trasmettere che escono da sole.
    hai acquisito “l’urgenza di scrivere”, o qualsiasi altro processo creativo, sotto una nuova luce e con “strumenti canonici”, comprensibili a tutti.

    la tecnica a volte inibisce i neuroni dell’ispirazione, perchè tende a illuminare le idee da punti di vista più critici ed oggettivi.
    ma io non credo molto nell’ispirazione.
    e ancor di meno nei colpi di genio.
    nell’olio di gomito, in quello, si.

    [caino]

  9. Flounder Says:

    io invece credo molto nell’inspirazione, nell’assorbimento di ogni dettaglio, anche il più banale, nel raccogliere ogni più piccola traccia, propria e altrui, anche quelle che non si capiscono all’istante. raccattare cose dovunque: a casa, in cucina, in spiaggia, pezzetti di ragionamento, gesti, scazzi, inquietudini.
    poi un poco di sonnellino, un riposino, una merenda, un distrarsi senza pensarci più.
    poi succede un’altra cosa e la attacchi a quella di prima, poi parli con qualcuno di tutt’altra cosa e getti un’altra luce un po’ diversa o si apre uno squarcetto.
    poi dici: mo’ voglio proprio vedere che succede, e cominci a raccontarti il fatto però non trovi la logica.
    poi lo scrivi e te lo guardi un poco e parti con le domande.
    io per esempio leggo intere frasi e mi chiedo: embè?
    oppure: sì, e allora?
    e poi alla fine rileggo tutto e penso: uh, mammamia, che paura.

  10. Laooconte Says:

    oh beh, io quella non la considero ispirazione. piuttosto “ricerca”.
    quindi sono d’accordo.

  11. Flounder Says:

    essenti, CainoLaooconte, vogliamo aprire un fronte di discussione?
    per me la ricerca è qualcosa di volontario, mirato, anche se poi arrivi ad altri esiti.
    invece l’inspirazione è proprio a zonzo, ad assorbimento passivo e successiva sedimentazione.

  12. barbara34 Says:

    secondo me ricerca e ispirazione si completano l’una con l’altra. almeno a me succede così, dall’una si arriva all’altra o viceversa.

  13. Laooconte Says:

    @flounder: ma no, non c’è bisogno di discussione. penso sia chiarissimo così.
    la ricerca random per me non è ispirazione, non la chiamerei tale.. anche se tu sei liberissima di farlo. [ci mancherebbe!].
    siamo immense spugne, discutevo con qualcuno tempo fa, e consciamente o meno prima o poi “strizziamo fuori quello che abbia assorbito”.
    saper rianalizzare le cose che si sono viste, incontrate, vissute è parte integrante dello scrittore. Così come lo è trovare significati nascosti e fili conduttori trasparenti.
    Cogliere messaggi e scrivere metafore, penso sia questo scrivere, in fondo. […Tra le tante cose]

    Mentre io con ispirazione intendo altro, intendo quello stato euforico che in molte culture si pensava fosse causa di qualche divinità.
    E non credo in questo irrazionale ed incomprensibile esplosione di creatività. Non credo vada assecondato, non credo vada ricercato.
    non credo nello svegliarmi la mattina, essere casualmente colpito da un mattone dietro la testa e comporre un sonetto di bach.
    perchè se così fosse, se fossimo stupide prede di “colpi di culo e di genio”, sarebbe infinitamente triste.
    saremmo strumenti dell’Altissimo o di qualche Musa pagana, essere senzienti ma incapaci, privi di un messaggio che non ci venga “imboccato” dal caso, dal destino… dall’ispirazione.

    io credo nella fatica.

    [caino]

  14. Modesta Says:

    “saper rianalizzare le cose che si sono viste, incontrate, vissute è parte integrante dello scrittore. Così come lo è trovare significati nascosti e fili conduttori trasparenti”

    …non mi ritengo affatto una scrittrice ma credo che questo “sapere” sia parte integrante di ogni essere umano senziente che ricerca in generale; che sia una ricerca filosofica, religiosa, culturale, di se stessi… l’analisi è un processo naturale per alcuni

  15. Flounder Says:

    ma porca miseria caino, porca miseria.
    a questo punto confesserò tutto: giovedì scorso, in preda a vuoto letterario, ho deciso che sarei diventata bella e dannata e mi sono fatta preparare dal mio barman di fiducia un assenzio con tutti i crismi della dannazione [zollettina di zucchero, fiamme, rituale similsatanico] per acquisire l’esprit du rôle.

    poi tutta bella, dannata e ispirata me ne sono tornata a casa.
    letteratura zero.
    (però mammamia, quanto ero euforica, quanto?)

  16. riccionascosto Says:

    Se posso permettermi… io sottolineerei il fatto che Flo’ parla di iNspirazione e non di ispirazione.
    Il che mette tutto in un’altra luce.

    Dopodiche, tornate a scrivere, io leggo (e grazie, Flo’, oltre che della storia, anche di quel “qui” che hai linkato).

    Ah, e sono d’accordo – sottoscrivo, perfino – Hobbs, sulla voglia di stare ad ascoltare.

  17. aitan Says:

    E’ una storia intensa assai, assai bene raccontata.

    (Il titolo mi ha fatto ricordare Una Medea di Porta Medina – di Francesco Mastriani – che stava tra i libri della biblioteca napoletana di papà, aveva una copertina arancione, mi pare, l’ho pure letto, ma credo che mi resterà più dentro la tua, di Medea)

  18. Flounder Says:

    in realtà inspirazione e ispirazione hanno la stessa etimologia.
    uso inspirazione perché contiene un elemento tattile, sensoriale, perché è quello che preme a me, che fa presa su di me.

    ispirazione mi sa troppo – come dice Caino – di fatti divini e sovrannaturali.

  19. Laooconte Says:

    @flo: LOL
    @riccio: azz, vero.
    @modesta: anche questo è vero.
    @barbara34: in un certo senso, e con un certo limite, penso di si.

  20. Flounder Says:

    aitan, io pure tenevo in mente la Medea di Porta Medina, ovviamente.
    ma più di tutto io tengo sempre in mente la Medea.

    che uno abbia letto o meno le tragedie greche, che le conosca oppure no, ce n’è sempre una che gli appartiene, in qualche modo, anche se non lo sa.

    a me è Medea, l’uccidere i propri figli.
    che i figli non è che si uccidono solo ammazzandoli, ma anche in tanti altri modi ed è pratica diffusa e molto ignorata.

    ripeto ciò che scrivevo ieri altrove: di questa storia mi interessava principalmente rappresentare come si distrugga l’amore servendosi della parvenza dell’amore, come la fiducia, portata alle estreme conseguenze (nel suo tradimento o nell’esercizio supremo di sé) porti alla distruzione dei più fragili.

    (questa cosa della fiducia è tremenda)

  21. riccionascosto Says:

    Io comunque l’inspirazione l’avevo intesa proprio come dici tu, “assorbimento passivo” o quasi. Respirare l’aria, l’atmosfera, trasformarla elaborandola ed eliminare il superfluo.
    Che non è fatto senza fatica, comunque.

  22. broono Says:

    Il mattone può eccome portarti a “immaginare” un sonetto di Bach.

    Poi qualcuno deve insegnarti al limite a tradurlo in un codice comprensibile agli altri, ma questo è altro, non fa parte del sonetto e della tua capacità di pensarlo, ma del bisogno di farlo ascoltare.

    Ecco perché il discorso “tecnico” è valido tanto quanto quello dell’ispirazione, perché si occupano di sfere assolutamente opposte e hanno fini assolutamente opposti.

    Se la propria soddisfazione risiede nella comprensione altrui, la tecnica è primaria e fondamentale, se al contrario la soddisfazione arriva nel momento in cui la si prova, che gli altri la capiscano o meno è marginale, marginalissimo, inutile quasi.

    Ti svegli la mattina con un sonetto in testa ma non sai nulla di solfeggio e scrittura della musica?
    Lo puoi fischiettare a chi si sveglia con te, se proprio vuole sentirlo, in piedi sul letto mimando con le braccia il timpano e con le guance l’oboe.
    Verresti certamente bocciato al conservatorio, ma che bel risveglio, accidenti.

    Sei diventato esperto di solfeggio e le mani sono diventate un metronomo ma non ti esce una che sia una idea originale?
    Potrai scrivere scale perfette per tutta la vita, ma butti via tempo perché le librerie sono piene di libri di scale.

    L’obiettivo è pensare o scrivere?
    Questo non mi è chiaro di tutto il dialogo.
    Perché il discorso ha un senso se le due opzioni sono un fine e non un mezzo.
    Se sono un mezzo, allora bisogna per forza indicare il fine, altrimenti manca il dato fondamentale.

  23. Flounder Says:

    non so se le due sfere siano proprio così opposte.
    voglio dire: se penso o sento una cosa, prima o poi avrò voglia di esprimerla, successivamente di condividerla.

    e poi io non so nemmeno fischiare 😀

  24. Modesta Says:

    E a fare l’oboe con le guance ci riesci?

  25. Flounder Says:

    famme sta’ zitta 😀

  26. broono Says:

    Sono opposte nel senso di differenti.

    Se prima o poi avrai voglia di esprimerla, avrai a che fare con un nuovo obiettivo, differente dal precedente, che non a caso nasce in un momento separato.

    (ci sarebbe stata bene la battuta del piano e della tromba, ma avrei ammazzato il dibattito e me la sono tenuta! :))

  27. Flounder Says:

    mome’, mome’.
    qua dobbiamo essere onesti, su un tema di cui si è parlato altre volte: quanto è lungo l’attimo tra il pensiero e l’esigenza di condivisione?
    nel mio caso brevissimo, pressoché inesistente.
    ecco perch̩ Рforse Рnon riesco a separare le due sfere.

    [e il fatto di non saper suonare il piano mi rende tremendamente infelice :-D]

  28. Flounder Says:

    e a questo punto, siccome ho l’ugenza di condividere e visto che le mie poesie maniacali non le cagate mai, ve la linko.

  29. broono Says:

    Evidentemente fai parte di quelli che trovano la soddisfazione nel momento della condivisione.
    E mica è un problema, eh, sono solo due scuole differenti, l’una bella e importante quanto l’altra.

    L’ho detto, l’importante è individuare il fine.

    Ma allora qui va inserita un’altra variabile:
    quando è fondamentale la condivisione, quanto peso ha chi si sceglie per condividere?

    Quando per condividere si ha bisogno di trovare una tecnica che renda la comprensione universale, non si sta mettendo da parte l’affinità?
    E mettendo da parte l’affinità, non si sminuisce ciò che si vuole condividere a favore del numero di chi la può condividere?
    E facendo così, ci si avvicina o ci si allontana dalla soddisfazione personale data dalla condivisione che era il fine iniziale?
    E prendendo lezioni di piano, si smette di esser muti ma si diventa ciechi?

  30. Flounder Says:

    uh, qua ci si sta addentrando assai.
    allora, dipende di cosa parliamo.

    se si parla di una confidenza, la scelta del “condivisore” è prioritaria.
    se si tratta di un prodotto simil-letterario, quale un post, credo che esista una specie di selezione naturale del lettore, che fa sì che, in definitiva, ti legga chi in qualche modo si sente affine sentimentalmente e affettivamente, prescindendo dalla tecnica.

    se invece si tratta di un libro, ossia di un prodotto letterario che ignora i destinatari, è ancora un’altra forma di condivisione, in cui si mettono in comune solo delle piccole parti.
    è quello che sostiene Caino, quando dice che il lettore avrà un po’ di diritto a farsi i cazzi suoi, che se lo scrittore gli mette tutto in mano, preciso preciso, non gli lascia nemmeno uno spazio di riflessione.
    allora quel tipo di condivisione là non è tanto sul messaggio di chi scrive, quanto sulla creazione di una zona comune in cui far sorgere altre riflessioni. è una forma di condivisione senza ritorno, a differenza di quella di un blog, dove il feedback ti porta a scambiare altre cose.

    poi la condivisione contiene pure un poco di narcisismo, non ce lo scordiamo. non è che possiamo fare i puri a tutti i costi.

    (e prendendo lezioni di violino che mi può succedere?)

  31. Flounder Says:

    aggiungo pure un altro fatto.
    per esempio: in questa storia qua ci sono un sacco di cose, e pure dei piani assolutamente intimi.
    con i lettori io ne condivido una piccola parte, dell’intimo colgono una superficie, una punta.

    poi ci sarà qualcuno, che mi è più vicino, che leggendo e conoscendomi, potrà chiedere di più e scendere più a fondo.

    è che questo è un mezzo anomalo di comunicazione, a più livelli.

  32. Flounder Says:

    voglio fare un’errata corrige che ho invertito i termini della questione.

    quando scrivo: allora quel tipo di condivisione là non è tanto sul messaggio di chi scrive, quanto sulla creazione di una zona comune in cui far sorgere altre riflessioni. è una forma di condivisione senza ritorno, a differenza di quella di un blog, dove il feedback ti porta a scambiare altre cose.

    volevo invece scrivere l’esatto contrario.
    un libro non crea una zona di condivisione immediata, ma mira al trasferimento di un messaggio, sul quale ognuno poi riflette a modo suo, solo solo.

    (è che andavo frettolosa)

  33. broono Says:

    e io invece volevo aggiungere che non è vero che le tue poesie maniacali non le caghiamo mai.

    Che anzi, sono sempre più belle.

  34. riccionascosto Says:

    ecco, io avevo riaperto per scrivere una cosa, ma l’ha scritta broono.

    (insomma, siamo senza parole. O vuoi che le scriviamo in un’altra lingua?) 😉

  35. Flounder Says:

    (non era narcisismo, ma bisogno di coccole)

  36. Modesta Says:

    per dare un colpo al cerchio ed uno alla botte direi che il sottofondo ci sta e l’oboe pure
    😀

  37. Modesta Says:

    parentesi… l’ho letta la poesia, è bella, ma adesso ti immagino piena di frecce e di indicazioni stradali…
    😀

  38. Flounder Says:

    l’importante è che si capisca come arrivare al centro senza trascurare le periferie

  39. Modesta Says:

    lei mi diventa sempre più cripticamente erotica
    🙂

  40. Flounder Says:

    mi si convochi IMMEDIATAMENTE l’assessore all’urbanistica.
    dobbiamo parlare un poco 😀

  41. broono Says:

    Urbanistica non so.
    Però dato che l’attuale problema mi pare sia anche l’internazionalizzazione del gemellaggio, all’uopo abbiamo convocato l’assessore.

    Se invece lo si vuole vero perché vero è il problema, allora abbiamo quello regolarmente eletto:

    Rimaniamo in attesa di ulteriori richieste.

  42. Flounder Says:

    zitta, zitta. zitta, devo stare.

  43. anonimo Says:

    Il post non l’ho letto (altrimenti non l’avrei capito). Ma qualcosa volevo pur dire leggendo la chiusa.
    Biagio Izzo, vestut’a femmena. E quell’altro (non so chi sia) che lo chiama a telefono e dice solo “Assu'”. Hai presente? 🙂

  44. Flounder Says:

    Assu’, so Salvatore…
    Salvato’…
    Assu’…
    Salvato’….
    Assu’….
    Salvato’….
    Assu’….
    Salvatooooo’, e parla!

    (ahahaha, ma che cosa bella che mi hai fatto ricordare. Assunta Scapece, un mito)

  45. arduous Says:

    cioè, signurì, voi dite a me comme faccio a farmi venire in mente certi penzieri cò questo cardo e pò iniziate il posto con “C’era stata la passione”? cioè, ma mi volete sfottere voi a me? ggesùggesù…

  46. Flounder Says:

    eh appunto, ardù: c’era stata
    quel giorno ci stavano 22 gradi.

  47. rosadstrada Says:

    “Se avesse saputo dirlo”
    “se avesse avuto la capacità di raccontare”

    Ora, per par condicio, una bella storia per quelli che non se le sanno tenere non ce l’hai ?
    : )

  48. Flounder Says:

    rosa, ci ho pensato.
    “La donna che non sapeva tenersi un cece in bocca” darebbe la stura a un grande romanzo autobiografico, di cui il sequel sarebbe “La donna che metteva il prossimo spalle al muro”.
    ne potrebbe venir fuori anche una grande saga familiare in sei tomi.

    mi sa che è meglio se evito 😀

  49. Flounder Says:

    Potrebbe anche intitolarsi: La donna che sussurrava ai cavilli

  50. Modesta Says:

    o la donna che sapeva troppo

  51. rosadstrada Says:

    O “Certe piccole parodie”
    : )

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