Io non conosco scorciatoie per superare il dolore, no. Posso solo immergermi, tuffarmici dentro come un liquido amniotico e farmi imbevere. Finirci dentro, come andare con il capo sott’acqua fino a sentirmi soffocare.
Non so sfumare, non so lenire, non so distrarmi.
E d’altronde tutto servirebbe a potenziarlo, a offrirgli nutrimento.
Non conosco scorciatoie, no. E se pure le conoscessi, non le percorrerei.
Perché i dolori sono matasse di cui bisogna afferrare il bandolo e da quello leggere, derivare un come e un perché, senza alibi.
Il mio viso ne fa le spese, il mio corpo paga tutto. Mi crolla la faccia, letteralmente, e si scatenano dolori erratici e nausee, herpes, tachicardie e fiato corto. Chi mi ha visto lo sa, sa che il mio corpo si piega. Che invecchio improvvisamente e nessuna rete di contenimento riesce ad ingabbiare la frana del mio viso.
Ma è così che deve andare, ognuno conosce la sua cura.
La cura non è nelle convinzioni, ma nelle conoscenze, in ciò che si sa di sé, che si apprende sul corpo. Con il corpo.
Io non conosco scorciatoie, so solo che devo aspettare che mi scavi, che mi frantumi. In silenzio, lontana dagli sguardi. Aspettare che la parte dolente si secchi, come una crosta, e cada da sola. Aspettare senza la tentazione di grattarla con un’unghia, così da evitare che lasci segni incancellabili.
Ognuno conosce la sua cura e la mia è questa
Allora succede che ogni tanto – ma proprio ogni tantissimo, anche tantissimissimo – io abbia bisogno di toccare il fondo.
Di annientarmi, di morirmi.
Succede quando proprio non mi è più possibile andare avanti, quando il dialogo interiore si fa così serrato da farmi temere l’impazzimento imminente.
Sento il sintomo del crollo, lo sento vicinissimo, incombente. E allora è il momento in cui devo forzarmi. Accelerare la discesa e cadere malamente.
Senza paracadute, senza alcuna forma di protezione. A testa bassa, caricandomi come un ariete, come un kamikaze.
Sciùùùùùùmmmm, caduta libera.
Velocità vorticosa, saetta, spirale, terapia d’urto, massacro, violenza, violenza su di me, ancora, sì, ancora più giù, vortice, vaaaai, vai, ancora un poco, è lì, sprofondaaaaa, vaaaaaai, centraloooooo, eccoloooooooo.
BUM.
Il fondo è stato toccato alle 5.44 di qualche mattina fa. Un dolore che credevo sarei morta.
A farmi compagnia innumerevoli tazze di caffè e totmila sigarette.
Alle 5.44 – ho badato bene a guardare l’orario per potermelo ricordare – non sono morta, ma ho iniziato a ridere, a ridere in modo incontenibile, convulso.
A ridere come se non mi fossi mai vista prima, come se fino a quel momento avessero mandato in giro una versione di me for dummies.
Ho riso di me, della mia stupidità, delle mie parole.
Delle mie ossessioni, dei sogni, dei desideri, delle ostinazioni.
In un modo così virulento da non potermi più torturare senza provare un irrefrenabile desiderio di ridere ancora, di dissacrarmi fino al midollo.
Ho riso tutta la giornata, nonostante crollassi dal sonno.
Ho riso di tantissime cose.
Alle 5.44 di qualche mattina fa ho toccato il fondo.
Porca miseria, quant’era profondo.
Va bene, va tutto bene. Come aver messo il piede su un trampolino elastico.
Oggi c’era la neve, tutt’intorno. Un gelo totale, qualcosa di irreale.
Ma dentro, dentro, la musica imperava. Chi mi ha visto lo sa.
ottobre 22, 2007 alle 2:02 am |
forse non é un caso, allora, che ciò che hai scritto qui sia uscito postato proprio all’ 1 e 44. forse liberare le emozioni in questo modo è catartico..
ottobre 22, 2007 alle 8:40 am |
Bene. Meglio così, no?
ottobre 22, 2007 alle 9:16 am |
Questo sistema di rinascere ridendo di se’ stessi e delle proprie paure credo appartenga a tutti coloro che sanno curare davvero, perche’ ne conoscono la genesi, i loro dolori.
Ben tornata a galla.
ottobre 22, 2007 alle 10:03 am |
chissà il resto del condominio, la felicità di essere svagliati all’alba da una risata convulsa e singultata.
Ma senta, dal fondo si rimbalza subito su, o è necessarai una pur breve permanenza? Lo chiedo perché mi sembra importante permanere, per vaccinarsi, dico, per capire.
ottobre 22, 2007 alle 11:09 am |
come ti capisco cara Flo, ah se ti capisco. Il mio dolore me lo sono scelta da bambina, viene fuori quando deve venir fuori, mi fa toccare il fondo quando lo devo toccare, perchè così possa rendermi conto della differenza che c’è tra su e giu, tra dentro e fuori, Un abbraccio
ottobre 22, 2007 alle 12:16 PM |
Lo so.
ottobre 22, 2007 alle 12:19 PM |
Flo ti ho appena scritto tramite Splinder.
E ti ho letto in Ibridamenti.
ottobre 22, 2007 alle 12:29 PM |
Il mio precedente commento non compare.
Ok, Splinder fa i soliti capricci..
ottobre 22, 2007 alle 3:22 PM |
e per piacere, fino a fine mese, rivolgetevi a me iniziando ogni frase con: Lyubimaya moya
(non fate domande, ve ne prego. non ne fate. potrei diventare assai aggressiva)
ottobre 23, 2007 alle 10:13 am |
Credo di capire, ma non chiedo.
A meno che non siano le 5.44 (in quel caso, però, non per telefono, potresti diventare aggressiva lo stesso)
ottobre 23, 2007 alle 11:05 am |
i nomi, i nomi.
i nomi delle persone sono bellissimi:
Yakupov Zakyarâya
Palamarchuk Ivan
un giorno vi racconterò di questo ottobre rosso.
ottobre 23, 2007 alle 12:03 PM |
ehm: nessun periodo in compensazione? occhio agli emboli, ché le risalite precipitose possono essere pericolose…
ottobre 23, 2007 alle 1:16 PM |
Tuffati di nuovo, sirena; io allungo le braccia e ti prendo.
ottobre 23, 2007 alle 2:19 PM |
Ma dentro, dentro, la musica imperava
un delizioso imperfetto, a chiusura di un altrettanto delizioso post.
ottobre 23, 2007 alle 4:40 PM |
nei giorni peggiori della mia vita, tante volte, mi sono visto piangere allo specchio e m’è venuto da ridere, a crepapelle, e mi stavo già allontanando dal fondo
ottobre 23, 2007 alle 6:56 PM |
proverò: alle 5 e 44 hai detto?
(bellobellobello quello che hai scritto)
ottobre 23, 2007 alle 8:03 PM |
peccato solo che nel corso delle ore e dei giorni la musica si sia modificata: sono passata da Vuelvo al sur a Kalinka 🙂
ottobre 23, 2007 alle 8:09 PM |
Sarà una risata che li seppellirà … (tutti i dolori, gli sprofondamenti nel baratro, le orrende somatizzazioni).
Evviva!
ottobre 23, 2007 alle 9:25 PM |
Mi insegni? …
ottobre 23, 2007 alle 9:44 PM |
Lyubimaya moya,
dato che la mia piccola mania sono i riferimenti letterari, ecco qui:
la risata taumaturgica per il Lupo della Steppa (e questo lo sanno tutti, credo): Mozart, in sogno processa e condanna il cupissimo H. a una colossale risata, su se stesso e sul mondo.
L’anno del diagramma, R. Heinlein (questo invece lo sanno pochi: è un antico racconto del maestro della FS anni ’60: uno statistico pronostica una crisi globale osservando l’incremento dei fatti strani e inconsueti; la sua convinzione incrollabile: “le curve, dopo avere toccato il fondo, non possono che risalire; è una legge statistica”. Scientismo, ok, ma inoppugnabile).
ottobre 24, 2007 alle 8:46 am |
I nomi, i nomiâ¦
Anche Satin Vyacheslav non è maleâ¦
Pensa che sono ancora in contatto con molti dei miei informatori partenopeiâ¦
Altro che KKB!
ottobre 24, 2007 alle 10:52 am |
ma Penza te, come dicono alcuni 🙂
(essenzia’, tu sì ‘na spia. io prima o poi a te ti acchiappo e ti faccio confessare. io lo so, lo so, che tu mi spii da vicino, che un giorno ci ritroveremo faccia a faccia, tu sapendo io chi sono e io no – cioè non sapendo chi sei tu e nemmeno chi sono io)
vabbè, mo’ mi eclisso, vado.
ci rivediamo tra un tot di giorni.
do svidà nija
ottobre 24, 2007 alle 11:14 am |
Ne devi bere di stoli pe’ acchiappà a me!
Nasdrovia!
ottobre 24, 2007 alle 2:11 PM |
uh, che bella risata che tieni!
(buono quel fondo li’ che t’hanno venduto, eh!)
ciao cara lyubimaya moya.
i
ottobre 24, 2007 alle 3:03 PM |
Che musica sia.
ottobre 25, 2007 alle 9:25 PM |
il fondo fa paura, e forse per esorcizzarlo ci viene da ridere.
ottobre 27, 2007 alle 3:47 PM |
lyubimaya moya, mai che tiaccacizzi la tua vita di fumatrice. ufs.
ottobre 27, 2007 alle 5:38 PM |
Ciao, Flo.
Che la musica ti accompagni sempre.
ottobre 27, 2007 alle 8:10 PM |
Scorciatoie? Mah, dicono che le diete che vengono meglio sono quelle senza scorciatoia. Forse è così anche con l’anima. 🙂
ottobre 28, 2007 alle 10:38 am |
e non è facile, credetemi, non è facile ridere di sé.
perché spesso si parte con una buona intenzione, carica di autoironia e leggerezza, e per la strada la si tinge di involontario o consapevole sarcasmo.
sono andata a cercarmi l’origine della parola sarcasmo ed era proprio come temevo: viene da un vocabolo greco che indica uno strappo nella carne, e dunque un sentimento intriso di rabbia.
non è facile ridere di sé, se i denti che si scoprono sono aguzzi e dilaniano e masticano trasformando tutto in un bolo indistinto senza coglierne sapori e sfumature.
è un altro, il modo che fa bene, è in quella risata con un retrogusto triste, che squarcia ma non deride.
ed è difficilissimo perché vira al pianto, perché in fondo è l’ammisione di un’impotenza necessaria. è un’apparente retromarcia che se innescata bene diventa una molla per spingersi oltre.
bisogna essere molto seri per poter ridere di sé, bisogna disporre tutte le cose con ordine e guardarle con obiettività , sapendo che tutto quello che fa male o è sbagliato non sta lì per caso.
e solo dopo, quando si è riso a sufficienza, nel modo giusto, si scopre che il punto difficile è stato superato e bisogna iniziare il successivo livello di gioco, dove le insidie sono più sottili e nascoste.
siamo al livello 256 di Pacman.
novembre 3, 2007 alle 5:37 am |
>non è facile ridere di sé
Vero.