Il signor Narciso Fioravanti negli ultimi tempi non era più lo stesso. Un frequente senso di malessere che lo pervadeva improvvisamente e un’astenia che lo accompagnava fin dal primo mattino.
Si tastava la faccia, sentendo sotto i polpastrelli la ruga che gli si approfondiva tra le sopracciglia.
Però lo specchio no, non gli confermava nulla di tutto questo.
Lo specchio gli restituiva un’immagine serena, un bell’aspetto, un sorriso piacente.
Questa cosa lo metteva ancora più di cattivo umore, come se il suo riflesso vivesse una vita segreta che non gli era dato di conoscere.
Gli sembrava che di giorno in giorno diventasse più bello di lui.
Era una cosa che lo faceva impazzire: aveva sempre amato la sua immagine, ma non al punto di esserne geloso.
Perché in fondo il signor Narciso Fioravanti era un tipo dabbene, checché ne dicessero le donne.
Le sue fidanzate, per esempio, erano tutte concordi nell’opinione che fosse un uomo arido, interessato solo a se stesso, che avesse giocato con i loro sentimenti per mollarle sul più bello, improvvisamente attratto da nuove passioni.
Ma le cose non stavano affatto così: era un uomo fedele. Totalmente innamorato del suo riflesso.
E a lui, a lui soltanto, concedeva la sua piena e totale dedizione.
Come avrebbe potuto dunque tollerare il tradimento da parte della sua immagine?
E soprattutto: ammesso e non concesso che la sua immagine avesse deciso di ribaltare i ruoli e prendere l’iniziativa, come avrebbero gestito tutto questo?
La mattina del 12 febbraio, una mattina tersa come poche, il signor Narciso Fioravanti decise a bellaposta di non sbarbarsi.
Imboccò la galleria di vetrate e specchi che conduceva al suo ufficio e nel rimirarsi scorse un uomo elegante, dall’andatura spedita. La basetta curata e il viso glabro.
Entrò in ascensore come seguito dal diavolo e anche lì, dallo specchio, la sua immagine lo guardava con evidente intento di contraddirlo.
Non mi sento bene, pensò tra sé e sé.
E avrebbe voluto chiedere a quanti condividevano con lui il tragitto, che cosa vedessero riflesso nella lastra argentata. Però un po’ si vergognava e allora restò zitto.
La cosa andò avanti per giorni.
Peggiorò il suo aspetto, peggiorarono le sue condizioni.
Pensò a una strategia. Avrebbe cercato – non visto – di sorprendere il suo riflesso e coglierlo in castagna.
Si appostava dietro gli angoli di certi grattacieli altissimi e lustri, e di colpo buttava uno sguardo, ritirando subito la testa, con una lieve fitta occipitale.
Ma il riflesso non si faceva fregare: lo aspettava lì, al varco, con un sorriso sornione e il fermacravatta dorato. Un giorno lo scoprì addirittura con i capelli tirati a lucido dalla brillantina.
C’è qualcosa che non va, Fioravanti?, gli chiese un giorno il suo capo.
Va tutto benissimo, rispose. Con una voce ben poco convinta.
Cominciò a ricoprire ogni superficie lucida con drappi opachi, evitando accuratamente tutte le strade del centro. Negli ascensori ormai entrava di spalle e compiva dovunque movimenti strani, dissimulati da passetti di ballo, per non doversi mai più confrontare con uno specchio.
Il viso, rasato a memoria, recava piccoli taglietti dovunque. Talvolta tracce di dentifricio intorno alle labbra.
Ma quella mattina, quella mattina che si trovò costretto a far visita a un cliente lontano, in un quartiere di cui non conosceva gli ostacoli, fu attratto dalla vetrata di un negozio di orologi, nella quale vedeva riflessa una donna bellissima.
Si voltò di colpo, intuendo di ritrovarsela alle spalle, però la donna non c’era. Non c’era nessuno.
Si avvicinò alla vetrina, incuriosito.
La donna gli venne incontro.
Alzò il braccio destro, lei mosse il suo sinistro.
Il negoziante gli fece un sorriso divertito dall’interno e lui scappò.
Nell’anticamera del cliente si avvicinò allo specchio per risistemarsi il nodo della cravatta, mentre il suo riflesso dai lunghi capelli ramati si passava il rossetto.
La sera si incantava per ore, con un misto di terrore e attrazione, davanti all’anta dell’armadio. Si sfilava con lentezza i calzini, si sbottonava uno a uno i bottoni della camicia, facendola scivolare languidamente dalle spalle.
Di fronte lei faceva altrettanto, con reggicalze e bustier ricamati.
Io non sto bene, si disse un pomeriggio. E fissò un appuntamento con il medico, un neurologo di chiara fama.
Non riuscì mai ad arrivare allo studio: nel corridoio della metropolitana colse il suo sguardo riflesso dal vetro del dispenser delle bibite. Per un attimo, solo per un attimo, gli sembrò che quello di lei deviasse minimamente dalla traiettoria per poggiarsi su altro.
La polizia lo prese così, con i pantaloni slacciati. Il viso e il corpo schiacciati contro il vetro, in un amplesso irrefrenabile e violento.
I passanti guardavano da lontano, riuscendo a cogliere di traverso solo il riflesso di un volto maschile, un po’ emaciato e stravolto da un misto di sentimenti.
Narciso Fioravanti fu processato e condannato per atti osceni in luogo pubblico e resistenza a pubblico ufficiale. Però con la condizionale, perché era incensurato.
febbraio 8, 2008 alle 6:25 PM |
Mi sono innamorato del Fioravanti (spero non sia grave).
febbraio 8, 2008 alle 7:20 PM |
eh, anch’io (e mi sa che è grave)
febbraio 8, 2008 alle 8:00 PM |
voi siete due loschi figuri (ed è molto grave che io vi frequenti)
febbraio 8, 2008 alle 10:03 PM |
Meglio i loschi figuri che i tipi di specchiata onestà , a quanto pare.
(brava, nennella affabulatrice)
febbraio 8, 2008 alle 11:11 PM |
quand’uno è etero è etero
febbraio 8, 2008 alle 11:16 PM |
io sono innamorato di antonella boralevi. io farei qualsiasi cosa per antonella boralevi anche lavare i piatti di antonella boralevi
antonella boralevi è bella e brava
febbraio 8, 2008 alle 11:18 PM |
… ma così, sul più bello?!
lisa
febbraio 8, 2008 alle 11:56 PM |
antonella boraelvi
antonella boralevi
antonella boralevi
antonella boralevi
febbraio 9, 2008 alle 2:48 am |
baby, scusa la banalità , ma conciata in quel modo arrestavano pur’anch’a me 😀
febbraio 9, 2008 alle 6:05 am |
Bellissimo. Mi è venuto in mente Il sosia di Dostoevskij, il ritratto di Dorian Gray, e pure una ragazzina quarantenne che si rammaricava in certi spogliatoi che io avessi dichiarato al vento la mia età proprio in viso a certe incartapecorite coi tacchi a spillo. Poi, a seguire, discorsi giapponesi sull’evoluzione post-moderna della fotografia autorappresentativa sempre più spinta (nel senso del numero di click, eh 😉 ).Poi a domino ecco una delle domande che mi tormentava l’infanzia: “Ma gli altri allo specchio quando mi guardano mi vedono come mi vedo io?” e poi la frustrazione di potersi vedere tutt’al più al contrario. Infine (?) le immagini riflesse di cui ci innamoraiamo perdutamente, e che forse non esistono se non proiettate da noi. Insomma, tanta densità , signorina Flounder.
febbraio 9, 2008 alle 9:13 am |
pover’uomo. 🙂
febbraio 9, 2008 alle 2:45 PM |
zu, riflettevo su questo tuo commento: mi sa che hai ragione.
dido, io ci andrei cauta con quest’affermazione.
forse la questione è quando uno è etere è etere
(nel senso di evanescente, sfuggente)
mel, ma chi è ‘sta boralevi? che ti ha fatto?
lisa, è esattamente ciò che pensò Narciso Fioravanti.
il qual – detto per inciso – dopo le noie giudiziarie non la incontrò mai più, e ancora ne custodisce il rimpianto.
calma, sarà per questo che hai tolto la foto dal blog? 🙂
zarit, ci addentriamo in un argomento penoso e difficile. ho letto una serie di cose sul mito di Narciso. riporto le più incisive:
In Narciso non esiste alcun transito che porti al confronto, nonostante la presenza della fonte che propone un possibile altro, perché Narciso rifiuta di tradirsi, ed è privo del simbolo che permetta il transito del confronto.
e ancora: Il dramma di Narciso è il dramma di chi non ha mai imparato a tradirsi, perché troppo precocemente tradito e “costretto” a rafforzare il proprio guscio “narcisistico”, per evitare ulteriori tradimenti e ulteriore dolore.
e per finire: “La forma patologica del narcisismo nasconde un intimo tradimento dellâamore per se stessi”.
direi che non c’è da stare allegri, a questo punto.
pispa, pure povera donne, direi 🙂
febbraio 9, 2008 alle 3:34 PM |
Bello bello!
hotel messico
febbraio 9, 2008 alle 8:19 PM |
la boralevi? uhhhhh, flounder., mi ha fatto innamorare
febbraio 10, 2008 alle 1:55 am |
di secondo nome faceva Giusva, vero?
(mamma mia che coincidenza)
febbraio 10, 2008 alle 7:41 PM |
grazie, hotelmessico.
euridicea, di secondo nome faceva in un sacco di modi.
ripensavo ancora oggi alla tragedia di Narciso: cerca occhi in cui specchiarsi e riconoscersi e amarsi, ma al tempo stesso questa cosa non può durare, perché l’occhio altrui finisce per rispecchiare anche le parti che di sé Narciso non vuole mostrare e vedere.
è una continua tensione tra il voler essere accettato e la paura di esserlo.
che povero cristo, mammamia.
febbraio 10, 2008 alle 7:44 PM |
euridicea, sono entrata adesso nel tuo blog, restando a bocca aperta.
non ne avevo la più pallida idea.
(sarà un segno del destino?)
febbraio 10, 2008 alle 7:57 PM |
purché siano belli, accetto tutti i segni che vuoi 😉
febbraio 11, 2008 alle 11:24 am |
mai che venga eseguita una condanna, a ‘sti fioravanti..
febbraio 11, 2008 alle 11:31 am |
vi giuro che ‘sto cognome m’è venuto fuori al supermercato, mentre compravo il pan carré
febbraio 11, 2008 alle 3:29 PM |
non concordo su quella definizione di tradimento di se stessi.
tradire se stessi bisogna.
e lui però non tradisce l’amore, che è una parte di sè, la più importante e questo può pure renderti ridocolo. anche pazzo.
bello, fluonder. bello anche perché pulito.
febbraio 11, 2008 alle 3:29 PM |
ridocolo è proprio ridicolo. grr.
febbraio 11, 2008 alle 4:22 PM |
mmm, che dibattito narciso nei commenti. Nel senso che era più semplice rifletere sull’immagine che lasciare che l’immagine riflettesse il nostro pensiero.
mmm…, mi sono spiegata proprio bene, uh!
febbraio 11, 2008 alle 4:44 PM |
(e infatti ti stavo per chiedere dei tortellini. poi ho pensato che la domanda avrebbe potuto essere equivocata, e allora ho rinunciato)
🙂
lisa
febbraio 11, 2008 alle 5:12 PM |
care signore,
qua il fatto è complicato.
per esempio qualche sera fa si parlava dei narcisi in pista.
immaginatevi una sala da ballo con uno specchio e l’uomo di turno che vi piazza a ballare là davanti, senza muoversi dalla superficie riflettente.
cosa guarda?
la vostra gamba tendersi indietro o lo spettacolo della sua propria bellezza che balla con la vostra gamba?
e ancora: è più narciso colui il quale vi tormenta perché sbagliate i passi e gli fate smarrire la sua immagine di perfetto ballerino o colui il quale balla con voi per insegnarvi i passi e riflettersi nella sua immagine di perfetto maestro?
e ancora si è condotto un seminario di approfondimento con la signora HangingRock nel quale ci è stato insegnato che l’amore nasce dalla propria percezione di essere una schifezza (a grandi linee). a questo punto il narciso è chiuso in gabbia: per amare dovrebbe schifare un poco la propria immagine, ma ciò gli è impossibile.
(è peggio del dilemma del prigioniero)
febbraio 11, 2008 alle 8:02 PM |
Mizzica, quante suggestioni, nella storia del Fioravanti (che storia, che storia!) A partire dal nome, con la sua trasparente allusione sessuale (il “fiore avanti”, in verità , è ben più leggiadro di un, che so?, Spatafora o di un sardissimo Pilloni, tanto per capirci, e ha anche il vantaggio di poter essere riferito a entrambi i generi: ma per alludere, allude…) Troppe sottigliezze, Donna Flou, voi siete troppo raffinata e io, che vengo da una terra di pietre, sono al contrario grezzissimo e non arrivo a coglierle tutte. Tanto che l’unica morale che sono riuscito a trarre dal suo racconto (bello bello bello, che glielo dico a ffa’?) è che quando uno non riesce più nemmeno ad arrampicarsi sugli specchi, prova a ingropparseli. Ma non giurerei che sia proprio ciò che lei intendeva significare…
febbraio 11, 2008 alle 8:58 PM |
(ho letto d’un fiato– ma proprio d’un fiato. E l’epilogo è davvero tuo, incantevole
febbraio 11, 2008 alle 10:26 PM |
grazie, maiko.
giorgiofla’, voi notate troppe cose. il fatto del fiore, giustappunto, che sta pure richiamato nel titolo ed è unisex.
poi ci volevo pure far prendere una medicina per fare il fatto di narciso/narkòs, ma andavo di fretta.
la morale non lo so se era proprio quella, ma pure mi va bene.
febbraio 12, 2008 alle 9:13 am |
un racconto ben scritto e piacevolmente ingenuo: solo una ragazza poco maliziosa come te poteva non menzionare tra i capi di imputazione l’aggressione e la violenza sessuale al dispenser delle bibite. Tu ometti quasi sempre i particolari più scabrosi (intervista al dispenser in lacrime, la fila interminabile di curiosi per entrare in aula e assistere al processo, il dispenser che si fa giustizia da solo).
febbraio 12, 2008 alle 9:45 am |
clim, per me la dignità va al primo posto. detesto i processi-spettacolo.
ho voluto offrire tutta la mia protezione e salvaguardia al dispenser stuprato.