Le cose, le cose a volte ritornano e si spiegano. E ci spiegano.
Come quella notte in cui restammo svegli per guardare il bambino caduto nel pozzo. Ero abbastanza grande per ricordarmene oggi tutti i dettagli e rivedere mio padre seduto su un angolo del letto, ad asciugarsi le lacrime.
La prima volta che vidi piangere mio padre, qualcosa che non credevo possibile, per tante e tante ragioni.
La seconda volta fu quando lasciai la sua casa, subito dopo i vent’anni, trasferendomi a diecimila chilometri.
La terza, pochi giorni fa.
Allora non sapevo che si potesse piangere per altri, altri che non conosci, non ti riguardano, non ti appartengono. Non credevo fosse possibile. Come il contadino in Shoah, al quale Claude Lanzmann chiede: ma voi non sapevate? Erano qui, accanto al vostro campo, non vi faceva male?
E il contadino sgrana gli occhi e risponde: male? Ma signore, se lei si taglia un dito è a lei che fa male, mica a me.
E nemmeno sapevo che quando si piange per altri, in fondo si piange anche per sé.
Così mi capita oggi di piangere unicamente per le cose che non mi coinvolgono direttamente. So che è la mia forma di difesa, un pudore verso se stessi: piango come una fontana al vedere vecchi filmati di guerra, servizi di telegiornale, storie di miseria. Di vera miseria umana. Piango a sentire certe musiche, a leggere delle storie. Piango di fronte a una scoperta della scienza, a un trionfo sportivo. Piango nel disfarsi delle sere, cantando una milonga triste: castigo me diò tu mano, pero màs golpeò tù ausencia, con cuerdas de cien guitarras me trenzé remordimientos.
E’ come se ci fosse un momento, qualcosa che separa un prima e un dopo, in cui d’improvviso tutte le cose del mondo diventano tue. Sarà per via di quell’appartenenza molecolare di cui si è detto.
So che vorrei farne a meno e che mi è impossibile.
So che si tratta della fuoriuscita di tutti i dolori che non riesco a dirmi, che provo a farmi scivolare addosso, stando bene attenta a che non mi si impiglino tra le calze o nei tacchi.
In questi giorni più che mai. Scivolo, mi scivolo via. Come la canzone che mi risuona nella testa e non mi lascia da giorni, sommessa come una congiura. Scivolo fuori da questo corpo impregnato di sorrisi e mi sistemo altrove, in una cassa a tenuta stagna, impermeabile a me stessa.
Scivolo da qualunque forma di contatto che potrebbe indurmi a farmi piangere per me, per me sola.
Scivolo da qualunque cosa che mi faccia sentire la volgarità di parole e gesti inopportuni.
Scivolo via da domande accorte e affettuose che mi si piantano come coltelli nella carne.
Scivolo in un privatissimo pozzo di dispiacere, sorridente sotto gli sguardi.
Io che per me non piango mai, se non per interposta persona. Proprio come mio padre.
Io che aggiro le difficoltà dissacrandole. Proprio come lui.
febbraio 27, 2008 alle 3:54 PM |
Ci sto affondando dentro e non so come. Ieri sera c’era una bambina di colore. Corsia uno. Aveva un costume rosa e una cuffia gialla di silicone, sicché immagina un po’ tu. Ah, aveva anche una tavoletta celeste. Non riusciva a partire. L’esercizio era mettere la tavoletta dietro la testa e sbattere le gambe. Andare a dorso, cioé. Non le riusciva. Si teneva al bordo della vasca. L’istruttrice s’è arrabbiata molto. “Sbatti quei piedi! SBATTI QUEI PIEDIIII! PIU’ FORTE!”. Io ero seduto che aspettavo finisse l’ora per tuffarmi. L’istruttrice s’è allontanata, i bambini erano tanti, succede così, dici la tua e vai oltre. Questa bambina ha cominciato a piangere. Non le riusciva. Dai, sbatti, dai, cazzo, sbatti. Ci sto affondando dentro e non so come.
Ciao
febbraio 27, 2008 alle 4:37 PM |
credo di capirti!
e credo di provare invidia!
perché non ho mai visto piangere mio padre, in nessuna occasione.
e nonostante questo – e per fortuna – mi commuovo quando dâimprovviso tutte le cose del mondo diventano mie!
febbraio 27, 2008 alle 6:03 PM |
io piango per tutto, Un medico mi ha detto che ho una disfunzione alle sacche lacrimali. Quindi pensavo poco fa, preparando una cioccolata, che se tu vuoi, posso farlo io per te.
febbraio 27, 2008 alle 7:20 PM |
Bellissimo pezzo, Flòu!
Dire complimenti è banale e stupido.
Però mi hai preso e toccato per la finezza, l’acutezza nell’esprimere così pulitamente e chiaramente con parole precise, analitiche i sentimenti tuoi.
E’ che è tanto facile, scrivendo di queste cose interiori, profonde, che riguardano la commozione, finire nel mellifluo, sdolcinato.
Brava continua così e piangi pure, magari anche per te.
C’è mica vergogna.
MarioB.
febbraio 27, 2008 alle 7:29 PM |
mio padre piangeva sempre,
sempre che si dovesse piangere,
anche ai matrimoni ed alle prime comunioni;
mia madre l’ho vista piangere solo quando papà è morto
febbraio 27, 2008 alle 8:49 PM |
a volte ho la percezione che il dolore degli altri sembri più affrontabile, anche se parla di noi.
anzi, proprio perché, parla di noi.
come se gli fosse assegnata una dimensione limitata rispetto alla deriva che prenderebbe se lasciato a briglie sciolte, dentro.
lo vedi, è lì.
lisa
febbraio 28, 2008 alle 12:21 am |
febbraio 28, 2008 alle 9:24 am |
O poeta é um fingidor.
Finge tão completamente
Que chega a fingir que é dor
A dor que deveras sente.
E os que lêem o que escreve,
Na dor lida sentem bem,
Não as duas que ele teve,
Mas só a que eles não têm.
E assim nas calhas de roda
Gira, a entreter a razão,
Esse comboio de corda
Que se chama coração.
(Il poeta è un fingitore.
Finge così completamente
che arriva a fingere che è dolore
il dolore che davvero sente.
E quanti leggono ciò che scrive,
nel dolore letto sentono proprio
non i due che egli ha provato,
ma solo quello che essi non hanno.
E così sui binari in tondo
gira, illudendo la ragione,
questo trenino a molla
che si chiama cuore. )
febbraio 28, 2008 alle 10:33 am |
E’ vero, piangere per gli altri è piangere anche per se stessi.
febbraio 28, 2008 alle 1:22 PM |
scivolare nel nome del padre… mi sembra una bella e necessaria, malinconia compresa.
scivola scivola va via…
febbraio 28, 2008 alle 2:00 PM |
la terribile sofferenza del voler eludere la sofferenza.
a volte è questo.
febbraio 28, 2008 alle 2:15 PM |
E nemmeno sapevo che quando si piange per altri, in fondo si piange anche per sé.
Non ‘in fondo’, ma sempre è così.
febbraio 29, 2008 alle 12:35 am |
delle volte sto alle lacrime come una bambina davanti alla vetrina dei giocattoli: immobile, occhi sgranati – e loro, irraggiungibili. Anch’io piango per il dolore di altri: ma è come giocare con una bambola prestata. Un’ora, una mezza giornata, sai che poi tocca restituirla.
febbraio 29, 2008 alle 11:15 am |
una canzone, una canzone stupenda.
La martiniana, Lila Down.
Niña, cuando yo muera
no llores sobre mi tumba;
toca sones alegres, mi vida,
cántame La Sandunga.
Toca el Bejuco de Oro,
la flor de todos los sones;
canta La Martiniana, mi vida,
que alegra los corazones.
No me llores, no, no me llores no;
porque si lloras yo peno,
en cambio si tú me cantas, mi vida,
yo siempre vivo, yo nunca muero.
Si quieres que no te olvide,
si quieres que te recuerde,
toca sones alegres, mi vida,
música que no muere.
No me llores, no, no me llores no;
porque si lloras yo peno,
en cambio si tú me cantas, mi vida,
yo siempre vivo, yo nunca muero.
febbraio 29, 2008 alle 11:43 am |
g.r.a.z.i.e.
è bello leggerti, e averti conosciuto un poco.
febbraio 29, 2008 alle 1:00 PM |
Buongiorno flounder,
questo blog vola alto.
Grazie.
Il pianto, il commuoversi, il sentimento da gli occhi lucidi subito, penso che aumenti man mano che passano gli anni.
Quando si è giovani, si è più forti in tutto e i colori delle emozioni sono ben definiti.
Con l’età tutto diventa più traballante, si diventa più fragili.
Se c’è da ridere si ride dentro, se c’è da piangere si piange dentro e fuori.
Anch’io sto cambiando, senza accorgermi del cambiamento che è in atto in me.
Mi ritrovo a passarmi la mano veloce su gli occhi (per non farmi vedere che mi emoziono) mentre vedo un film qualunque, neanche troppo toccante.
E poi noi uomini ci vergognamo un po’ nel farci vedere con gli occhi bagnati.
E’ così che ci vuoi fare.
Un abbraccio fuori asse, ciao
L’illustra…
febbraio 29, 2008 alle 2:41 PM |
e soprattutto – andando avanti negli anni – scopri che il romanticismo è veramente una roba da “duri”. che per essere romantici ci vogliono spalle forti e coraggio.
[illustrascarpe, entro la fine di quest’anno un giorno balleremo. io con gli occhi chiusi 🙂 ]
febbraio 29, 2008 alle 3:14 PM |
(sto facendo un assaggino dal loro sito)
kantango….
marzo 1, 2008 alle 2:32 PM |
lungi dall’autocommiserazione, in questo post così sottile, raffinatamente introspettivo ma capace anche di guardare all’essenza universale del dolore, sia esso rimosso o eluso o razionalizzato o proiettato su altro, vi trovo quella componente di autocelebrazione che non manca mai nella persona estremamente o eccezionalmente sensibile nel momento in cui la riflessione si sposta dal dolore stesso ai modi sofisticati in cui il dolore viene percepito, elaborato, motivato, ecc.
Al narcisismo non si sfugge mai, è vero. Anche questo commento è narcistico nella misura in cui lo scrivente spera di attirare l’ attenzione su di sé facendo sfoggio di straordinarie acrobazie intellettuali.
(come dici? sto scrivendo un sacco di idiozie? niente acrobazie intellettuali bensì cazzate? ok, è vero) Però sento il bisogno di capire perché di fronte all’outing bloggistico e alla sovraesposizione intimista io mi trovi sempre in uno stato d’animo di profondo scetticismo che, giuro, fa male a me in primis.
(sì, hai ragione. Non dovrei romperti le scatole se ho dei problemi. Scusa Flou)
marzo 1, 2008 alle 2:39 PM |
in parte sono d’accordo con te, clim.
ma solo in parte.
poi ci sono altre volte in cui l’esposizione serve ad aumentare il distacco dalle cose. niente autocelebrazione, niente narcisismo, nessuna strumentalizzazione. come un cordoncino di parole che isola e delimita.
qui c’è anche altro, una sorta di promemoria, un manifesto programmatico.
marzo 1, 2008 alle 5:05 PM |
trovo che sia splendido quando diventa una commemorazione di tuo padre. Ricordo che parlasti di lui anche in un post che aveva tutt’altro argomento, e mi impressionò quel tuo modo di dipingerlo così efficace e vero nonostante le pochissime pennellate.
Buon finesettimana 🙂
marzo 2, 2008 alle 12:02 am |
mammamia, clim, che memoria.
è che io mio padre lo posso disegnare solo così, spatolato e ruvido. schivo e incazzoso. un po’ misogino.
per un ottuso senso del pudore detesta leggere le cose che scrivo, si imbarazza.
siamo tipi che si imbarazzano, ecco 🙂
marzo 12, 2008 alle 8:49 PM |
a scoppio ritardato.
leggendo questa tua cosa, ti lascio una piccola impronta – mi piacerebbe, Flounder, tu la leggessi.
qua.
un abbraccio.