Ci sommerge. L’ordiniamo e frana.
Lo riordiniamo e franiamo anche noi.
Rilke, Ottava elegia duinese.
All’inizio il dolore non esiste.
E’ vuoto, buio, punto zero. E’ massa indifferenziata e poi spazio che si crea d’improvviso, tipo un furto con destrezza.
E’ solo dopo, nel racconto, nella parola che ci fa umani, che il dolore prende poi forma. E’ solo nella parola, che tutto prende forma e si sviluppa. Anche la gioia, la paura. Tutto. Tutto si snoda.
E’ solo grazie alla parola che tutto esiste e si fa nuovamente modificabile.
In principio era il Verbo. In principio era colui che è la parola. E’ questo, credo. La parola che si incarna e tutto fa possibile purché possa essere detto.
All’inizio dunque il dolore non esiste. Poi la parola lo crea, il dolore, gli dà corpo. La parola diventa garza, velo, benda. O masso, o intreccio di foglie a coprire la buca nel bosco: se sai dov’è non ci caschi, la eviti.
Se non conosci il luogo del dolore, se non hai saputo identificarlo e marcarlo di parola, finirai per sprofondarci. E’ sicuro.
C’è uno spazio e un tempo per il racconto.
Il dolore è un racconto che fatto a se stessi, in solitudine, è possibile solo nella distanza, nell’immagine che sbiadisce. Il dolore si racconta a se stessi solo quando l’evento è già lontano, di modo che il fatto, il fatto che lo ha originato, già non sia più tale, già sopravanzato da altro incedere, da immagini in sovrimpressione. Il dolore che non può essere raccontato nell’istante, deve incidersi in qualche luogo e farsi memoria del dolore. Non per ricordare, ma per sopravvivere.
Quest’attitudine specificamente umana – lo scrive un signore di nome Candau – che consiste nel poter essere a strapiombo sul proprio passato, per inventariare non già il vissuto, ma ciò che ne resta.
Poi c’è il racconto reso all’altro, il solo che permetta immediatezza. E’ il racconto che scava un solco, crea uno spazio in cui ritrovarsi e insieme dare nuova forma alle cose. Una trincea in cui sopportare insieme la stessa guerra. E’ il racconto che costruisce il senso della perdita, il senso della ferita e insieme lo cura, lenisce. E’ il racconto che suggella l’alleanza dell’identico sentire.
Non c’è dolore senza racconto e non c’è tregua che possa nascere dal mancato racconto del dolore.
Perché il dolore non detto si cristallizza in urlo, diventa piaga. Nel tempo ci torce, ci infeltrisce.
Nel tempo ci cancella.
Sono sicura, sempre più sicura, che non sia possibile darsi un’immagine di sé senza racconto e senza ascoltatori. Questa una delle ragioni per cui pazientemente coltivo questo blog.
Qui un gran bell’articolo sulla scrittura, l’immaginazione, l’identità, il ricordo individuale, la memoria collettiva.
Qui la canzone che mi ha tenuto compagnia ultimamente.
Qui un vecchio racconto che mi è tornato spesso in mente in questi giorni.
febbraio 23, 2009 alle 6:43 PM |
Gentile Flounder,
ho comprato il libro di Stephen Kern Il tempo e lo spazio che Lei ha vivamente consigliato. Ero curioso di saperne di più. E poi, sapere se tale libro potesse, e mi sono accertato che può, far da sponda e chiarirmi certi aspetti sul âmateriale cartaceoâ a ciò cui lavoro da anni. In pratica son partito dai soliti Ricordi dellâInfanzia, lâAdolescenza,(bisognerebbe vivere due vite, una che va avanti e unâaltra indietro e poi il presente che fa la sintesiâ¦Ma chi potrebbe svolgere questo ruolo tridimensionale? Il lavoro incessante sul passato-presente proiettato sul passato-futuro: altrimenti che senso hanno la coniugazione dei verbi se non coniughiamo la vita/le vite?) il Basso, il contesto del Vicolo, le molte persone con cui interagivo, la Memoria individuale e collettiva, e di conseguenza lâAutobiografia vera e romanzata, specialmente quelle non scritte mai(fa eccezione, Terra matta di Vincenzo Rabito che ho trovata bellissima) di una Generazione, ma non solo, e di altri periodi. Uno di questi periodi a cui ricorro(il cordone ombelicale super storico)affonda le sue radici a metà del Seicento. Il protagonista del libro è ânu criaturo che Colomba Mammazezzella(soprannome che le deriva dal fatto che la donna non allatta solo suo figlio, ma anche gli altri bambini del vicolo, alle cui madri il latte è andato via), cioè sua madre, chiama âo Guaglione. La nonna di Guaglione si chiamata Sabella âo Guarracino. E Guaglione a un certo punto si chiede perchè sua nonna materna la chiamano…come il pesce nero sarracino-guarracino.
E così lui va a scavare…e scavanno scavando(nel sogno?, in una seduta spiritica? casualmente?camminando nelle starade della città dove non si scrive perché nessuno ne è capace?la follia che si maschera e la maschera che cangia e muta e sguscia come ânâanguilla)a ritroso nel tempo, giunge a metà del Seicento(la città a quel tempo, per esempio camminando nella piazza del Mercatello, lâattuale piazza Dante, addirittura dove sono appesi nelle gabbie i cadaveri di coloro che hanno commesso un furto o un omicidio e puniti dai tribunali del Reâ¦) e viene a sapere che Vaiassella a quattordici anni fu rapita e messa incinta, cioè violentata, da un saraceno scuro…annommenato Said lo Saraceno o lo Guarracino, appunto come il pesce nero e pieno di spine e che il colore della pelle di nonna Sabella viene da lì.
Dicevo che il libro può tornare utile per sbrogliare certe idee sul tempo e sullo spazio e le âtecnicheâ che pensavo di utilizzare eventualmente per questo libro che sta crescendo sempre più. Adessoâ¦forse, sono ancora indeciso, ci vorrebbe il lettore intelligente, non solo quello/a, ma anche quel tipo di lettore ferrato su altri aspetti(la questione del tempo è centrale come lâuso della lingua nazionale o il dialetto), per cui Lei potrebbe donarmi dei consigli utili e preziosi. Ad esempio leggere e poi tagliare o affinare e scomporre e ricomporre. Ma ci sono anche altre questioni, per esempio i capitoli che vanno avanti e indietro e che non vogliono seguire la cronologia degli anniâ¦
P.S.: queste note le ho scritte prima del suo ultimo post.
Poi a distanza di qualche giorno sono venute le altreâ¦
Scarpantibus
febbraio 23, 2009 alle 10:25 PM |
…povero me…ho fatto uno sbaglio nel copiare quel che ho postato sopra con ciò che avevo scritto prima…perdendolo/perdendomi, in stratificazioni di parole…il fiume delle parole…erano più che parole belle, parole di stratificazioni…che cercavano di raccontare…forse il dolore sospeso di quello che non riusciamo a dire…ci serviamo di internet fatta di parole scritte su pagine si schermi luminosi, mentre le nostre parole dovrebbero raccontare i grumi che si formano nei nostri petti e sopra le nostre teste, nelle nuvole…
Ho ascoltata la canzone La cura di Battiato e, qualche tempo faceva parte della colonna sonora del periodo in cui stavo sconocchiato, come un toro con le banderillas sul groppone. Poi, mi rialzai, in cerca di altre stupide canzoni che accalappiavano la mia presunta anima o spirito o vena dei sentimenti. I miei sentimenti avevano ancore che trascinavano giù nel fondo e il mio corpo accennava alla corsa: rubai una bici, almeno così chiamai il regalo di un impiegato di un ufficio presso cui lavorava mia madre. Il suo datore di lavoro è morto da moltissimi anni, ma altri han preso il suo posto. Il passato si ripresenta passato nel presente e lo chiamano futuro. Che imbrogli somministra la borghesia, che però gli scoccia molto essere chiamata tale. Tanti Caino facce di bronzo. Per raccontare bisogna squagliare le maschere. Il passato è presente, fottuto Futurismo.
Scarpantibus
febbraio 23, 2009 alle 10:58 PM |
ho letto l’ultima frase come
“nel tempo ci flanella”.
(vado a nascondermi)
🙂
lisa
febbraio 24, 2009 alle 12:35 am |
come un’architettura classica, un quadro rinascimentale, un testo sacro questo post è coerente con la suoa forma il suo contenuto e con chi lo ha scritto è ed è bello profondo e pieno di senso
magari poi vengo a dire qualcosa in merito
un inchino
cav
febbraio 24, 2009 alle 2:03 PM |
L’evoluzione del pensiero filosofico: bloggo dunque esisto 🙂
alpha
febbraio 24, 2009 alle 2:55 PM |
vi darei anche un poco di confidenza, ma fino a domenica sono schiacciata da pesi e incombenze.
febbraio 24, 2009 alle 3:03 PM |
eh però, madame Flounder, mannaccia ‘o Pataturco, vuje jate sempe fujenno…c’avessemo piglià ‘n’ata maestrina? vuje però primma ce date ‘a pupatella ‘e zucchero e ppò…a blì blò o la lince o la lance tanti fiori ci sono in Francia, donna Giuseppì, donna Margherì, jesce fora Garibaldì…
Scarpantibus
febbraio 24, 2009 alle 3:07 PM |
lisa se tu sei Lisa dagli occhi blù non devi nasconderti, mostra la tua beltà dello sguardo e poi della lungimiranza…esci dal nascondiglio.
Scarpantibus
febbraio 24, 2009 alle 5:27 PM |
egr. dott. comm. Scarpantibus,
non tengo l’occhio blu, figurarsi la lungimiranza.
per info, citofonare flounder.
:))
lisa
febbraio 24, 2009 alle 6:24 PM |
uno poi si crede che il potere chissà cos’è.
non è altro che il controllo dello spazio e del tempo, propri e altrui.
pare brutto se dico che so’ impotente?
febbraio 25, 2009 alle 12:04 PM |
ho visto Corazon de mujer
la protagonista ha perso la verginità , non ha il coraggio di dirlo alla madre e allora lo confessa allo specchio,
ti ho pensato
febbraio 25, 2009 alle 1:18 PM |
Alba Rosata Madame Flounder,
luvatemi ‘na curiosità , ma nun ve sfasteriata ‘a sta sempre sdraiata e scollacciata c’o friddo ca fa e c’o micione ca ve gira attuorno? nun se pò mai sapè, ‘e ghiatte scippano e mozzecano quanno teneno famme?
P.S.: Ma chilli llà ca ve sciosciona cu ‘e palme, comme dint’e film ‘e Cleopatra, addò stanno?
Scarpantibus.
febbraio 25, 2009 alle 1:44 PM |
in ogni casa ho sempre sbirciato i libri; con i loro dorsi esposti dicono e rappresentano tra le cose più importanti di chi li ha sistemati lì, in quel modo numero e criterio.
Così quando vivevo da solo avevo una casa in cui si vedevano libri dappertutto e li andavo prendendo per ogni dove.
Adesso che viviamo in una piccola casa con un figlio che ha bisogno di spazio ed aria non mi importa più avere libri in casa, ho preso a regalarli, soprattutto quelli appena letti . Sarebbe un bel cambio di prospettiva, se non fosse per il fatto che la mia memoria se ne va quasi più in fretta dei mei giorni, così nonostante appunti e sottolineature, dopo un pò mi dimentico tutto quello che leggo, e non solo. Tra i lbri che ho dimenticato, c’è n’è uno che mi è venuto in mente leggendo questo bellissimo post: mi sembra si trattasse di una serie di interventi sul rapporto tra la Torah e la cognizione del tempo, comunque c’era un capitolo che metteva in relazione il tempo ed il dolore, nel senso che l’idea di tempo si sarebbe costruita per far fronte alla cognizione del dolore, per dargli una misura, un termine, un senso, per renderlo sopportabile. Ed in questo senso il tempo circolare -ouroboros- delle culture primitive renderebbe il dolore superabile nel palingenetico vortice vita/morte mai definitive e sempre conservatrici di una “tradizione”. Mentre il tempo lineare giudaico-cristiano renderebbe il dolore sopportabile in prospettiva del riscatto, o meglio della ricompensa escatologica.
Ma non mi ricordo nè gli autori nè il nome di questo libro
baci
febbraio 25, 2009 alle 3:36 PM |
pure io lo voglio leggere questo libro. uno sforzo di memoria, su. oppure un’invocazione al Secretario, che magari lo sa lui.
(sto cercando di arrivare indenne a domenica. poi prometto di riprendere adeguato possesso del blog, ma anche della mia vita)
febbraio 25, 2009 alle 11:33 PM |
trovato:
Titolo: Tempo e Torah
Curato da: Lucrezi F.
Editore: CUEN
Data di Pubblicazione: 1999
Collana: Ist. suor Orsola Benincasa
ISBN: 8871465091
ISBN-13: 9788871465098
Pagine: 192
Reparto: Religione e teologia
il libro non è più in commercio e giuro che non mi ricordo cosa ne ho fatto. Comunque erano atti da un convegno, e quello a cui mi riferisco era il primo
febbraio 26, 2009 alle 2:02 PM |
Grazie Flo, pure io coltivo il blog – o dovrei dire evito che si rinsecchisca definitivamente – per quelle ragioni lì, che hai spiegato benissimo. E’ sempre per questo, perché, come dici tu “non c’è tregua che possa nascere dal mancato racconto del dolore”, che sto tentando di raccontare anche i dolori sfuggiti al blog, fuori dal blog, con una fatica immane. Mi sono stampata l’articolo, e lo leggerò subito.
febbraio 26, 2009 alle 5:10 PM |
“Non câè dolore senza racconto e non câè tregua che possa nascere dal mancato racconto del dolore.” Lo sottoscrivo, lo sottolineo, lo controfirmo.
febbraio 26, 2009 alle 7:42 PM |
io su questo fatto questo fatto qua del tempo circolare e del tempo lineare ci avevo riflettuto molti anni fa, dopo aver letto marquez, che sulla circolarità del tempo ci ha costruito poco poco tuttintera l’epopea di macondo…fu così che spinto dalla costatazione di certe particolari affinità tra le affermazioni di melquiade il gitano e la cosmologia della genesi (e i postumi dell’assunzione di birra gelata durante i viaggi in pullman…ma quest’è un’altra storia), acquistai per 1000 lire da colonnese e lessi le trenta pagine scritte dal succitato Lucrezi sul “Tempo nella tradizione ebraica”…che credo sia un reprint dello stesso pezzo al quale si riferisce il cavaliere…in realtà tutta la tradizione degli hellenistai (gli ebrei parlanti greco) e le discipline cabalistiche si pongono nel solco del filone gnostico e dunque dell’idea dell’uno-tutto (uroboros, x l’appunto) e della conseguente circolarità del tempo…e la faccenda è, manco a dirlo, pure strettamente connessa al logos…mo’ senza voler essere pedanti e approfondire il discorso, il tutto mi serve solo a conferma dell’impressione, donna flo’, che le cose che scrivete vanno più che spesso al di là delle vostre stesse intenzioni…quanto alle case chien’ ‘e libri, ne sappiamo un quaccheccosa 😀
ah, e mancaffarlapposta, un bell’uroboros d’argento – per di più toroidale – pende pure dal mio collo…e l’ho comprato al ghetto (di roma… qui)…è che a noi hellenistai questa deformazione sclerotica della nostra filosofia, questa qua operata da questa setta di fanatici seguaci di cristo, a noi ci sta un poco stretta…ecco qua, mo’ l’ho detto !!!
febbraio 26, 2009 alle 9:36 PM |
io credo di volervi assai bene, a tutti voi.
febbraio 26, 2009 alle 10:06 PM |
(poi c’è che credo che le persone non si incontrino casualmente, e a me vedere in questa finestra tutta questa bella gente che condivide sentimenti, letture, studi, sensibilità , e che io vi conosco un poco a tutti quanti, embè, a me mi commuove assai. scusate l’italiano, ma tengo i neuroni un poco scomposti dalla stanchezza, le sinapsi ballerine e i piedi gonfi ma non per il tango)
febbraio 26, 2009 alle 10:55 PM |
🙂
ad ogni buon conto, e prima che me lo chiedete voi, la copia del libercolo di Lucrezi l’ho comprata nel 2000, mi pare, e l’ho lasciata probabilmente a berlino, dove ho vissuto qualche mese del 2001, ché interessava assai a certi amici miei che…vabbuò, il fatto è lungo…è solo che non ve la posso dare mo’, a morte di subito, quando ci vediamo…forse è più facile che il cavaliere recupera la copia sua 😉
febbraio 26, 2009 alle 11:05 PM |
secreta’, uno di questi giorni mi scordate pure a me da qualche parte e poi voglio sapere come la mettete nome 🙂
mamma, ho perso la flounder?
febbraio 26, 2009 alle 11:24 PM |
senor secretario, è come dici tu, Flouder scrive cose da cui escono ed entrano molte altre armonicamente, sottilmente, palesemente, profondamente…..
febbraio 26, 2009 alle 11:26 PM |
‘onna flo’ e come si fa a perdersi a voi…voi tenete l’allarme incorporato 😀
febbraio 27, 2009 alle 9:37 am |
è che scrivo sotto possessione demoniaca, ve lo giuro.
febbraio 27, 2009 alle 10:14 am |
Alba Rosata Donna Fluonder,
site ‘na femmena fatale, eppirciò tenite ‘o riavulo ‘ncuorpo. Chesto ve lo volevo dicere già aiere ssera, ma ‘e vote tengo l’impressione di anticipare i pensieri. Che questo tipo di telefonia(Stephen Kern e le vecchie e nuove tecnologie)del pensamiento posteriore e anteriore, telecom, infostrada e Compagnia non riwesconoancora a sfruttare a livello di bollette e fatture commerciali.
Però poi, volevo fare un cenno al sapere e non sapere…e alla scrittura. Perchè le masse ma anche il singolo abitante dei vicoli è restio al sapere e alla cultura? Perché fa resistenza e a modo suo? Penso che a scrivere i libri dovrebbero essere quelli che non sanno scrivere. Si, è un paradosso, ma qui sta la sfida. Chi fin da piccolo/a ha ricevuto gli strumenti dell’itaniano della grammaticata scritta, è scontata che sappia esprimersi con le parole scritte. Ma come far scrivere chi non sa scrivere? Bellissima domanda impossibile e una sfida enorme.
Scrivere per ciò che sentiamo e non quello che ci chiedono di controfirmare. Se non può la politica, può o potrebbe, forse, la cultura? Ci sono tante culture e altrettanti “pensieri” e “risposte” o “non risposte” secondo il proprio livello d’istruzione e ignoranza. Da piccolo, critauro strappatiello dint’e viche, pazzianno tra ‘e palazze sgarrupate e ‘a munnezza ai pontoni d’e vie, penzavo di sapere di non sapere ma dentro sapevo, ma non era il sapoere di fuori, per esempio quello dell’inizio della scolarizzazione.
Ma cher’è a scola e che’è mò?; t’aiuta a fa ascì chello ca tieno dinto, armonizzando le asperità della diffrenza alla partenza di nascere e affrontare la vita?partenno dint’e pprete addò si nata e crisce? Sapere di sapere di non sapere…chesto penzavo quann’ero criaturo, pure si nun ‘o divcevo e nun sapevo scrivere pecchè ‘ scola era ‘nu palazzo luntano luntano, pure si steve giranno appena ‘o pontone d’o vico. Ch’è rimasto di allora? Eppirciò, mò che ce stà ‘e ‘na scola ca nun è mai ‘a scola ‘e ll’anema…
Scarpantibus
febbraio 27, 2009 alle 10:21 am |
signor Scarpantibus,
per rispondere a voi devo tirare fuori tutto il sapee accumulato nelle ultime settimana, ché la risposta non è facile.
ma mo’ non è proprio cosa, mi aspettano a Santa Chiara, devo fare la Sirena, nostra signora dell’olio di oliva.
ci vediamo lunedì, a dio piacendo.
febbraio 27, 2009 alle 11:21 am |
Splendido l’articolo su new arcadia: davvero pieno (zeppo) di spunti!
Il dubbio: raccontare noi, raccontare gli altri, raccontare noi attraverso gli altri o gli altri attraverso noi?
E poi se è vero che la memoria “racconta” un fatto, utilizzando strumenti della finzione, il fatto, lui, esiste davvero come “fatto” incontrovertibile? Una mela che cade può essere senz’altro una mela che cade oppure può essere una mela che scivola o una mela che precipita?
Per oggi ho esaurito le cazzate, buon fine settimana!
febbraio 28, 2009 alle 12:40 PM |
Madame Flounder è overo, comme si dice pe’ dint’e viche addò se sentono l’onne ‘e mare, ca Vuje site ‘na Janara d’o Medioevo, ca eravate ‘na strega e vi ‘ncatenaieno ‘ncopp’a nu cippo, e ca, a quanno site accumparuta n’ata vota, facite cierte ‘ntruglio o fatture e ca chesti fatture oggi come oggi si chiammano transfert?
Scarpantibus
marzo 1, 2009 alle 8:15 PM |
overissimo!
statevi attento.
marzo 3, 2009 alle 2:14 PM |
cara signora sabrinamanca, vi voglio dire che seguendo l’articolo di New Arcadia nella sua bibliografia, mi sono imbattuta in questo testo che subito ho comprato comprato: Le strutture antropologiche dell’immaginario di Gilbert Durand, che abbinato ai resti di Burà n nonché all’enorme quantità di narrativa presente in Rete, mi spalanca le porte della percezione e mi fa sognare universi e mondi tutti da scoprire.
marzo 14, 2009 alle 4:07 PM |
la tua pazienza è importante.
non la eserciti solo per te stessa. sappilo.
amelia
(quella descrizione della fame nel racconto è perfetta)
ottobre 5, 2010 alle 11:10 PM |
È interessante notare che questo blog è eccellente, molto buono. Amo le biciclette e motocicli, perché non posso sentire l'aria rosando mia pelle. Mi sembra di volare dove bicibleta o guidare una moto. Mi piace la sensazione.http://buyonline-rx.com/http://buyonline-rx.com/sitemap.html
ottobre 6, 2010 alle 12:29 PM |
effettivamente la sensazione della pelle che rosa deve essere terribile 🙂