La modernità è un lungo processo di decostruzione. Come sfogliare una cipolla, insomma.

A me, che ho l’istinto voyeristico e subantropologico, mi piace assai guardare i profili di Facebook. E più li guardo, più mi interrogo.
Assomigliano a quel test che si fa per entrare nelle grandi aziende, quello con cento domande a scelta multipla che si contraddicono in fase di svolgimento e poi c’è una scala di congruità per misurare se sei pazzo o bugiardo, inaffidabile o schizoide.
Pinco pallino è sposato e dichiara che gli piacciono le donne. A scanso di equivoci.
Tizia cerca un appuntamento in rete ma è fidanzata e tra i suoi amici c’è pure il suo fidanzato. Cattolico militante.
Caio è ateo però si è iscritto al gruppo “Raccogli i soldi per la Madonna di Montefronzolo”.
Sempronio è al tempo stesso fan di “Vino e spirito” e “Andate piano”.
Una mattina ti svegli e hanno tutti l’avatar di Affluency, delle Sorelle di Giugno o del drappo a lutto, che dopo mezz’oretta ti confondi e azzecchi le migliori figure di merda.
Voci di corridoio mi informano che uno scrittore famoso ha organizzato una festa a cui partecipavano tutti e pure gli amici loro e poi non si è presentato nessuno. Per lo scuorno si è cancellato dal network.
L’italiano medio che durante i mondiali diventa Commissario Tecnico ipso facto, su Facebook acquisisce competenze di: critico letterario, agitatore di folle, giornalista fatto in casa, politologo, musicista e statistico (col margine di errore stocastico).
Odiano tutti la tv, ma vi sanno citare ogni singola frase di ogni singola trasmissione televisiva.
Serissime mamme di famiglia si producono in ammiccantissimi test da dove vengono fuori dei profili psicologici da ninfomane, diva burlesque o esperte di kamasutra high impact (da praticare solo con apposito cardio-frequenzimetro)
Bambini di scuole elementari citano Goethe e Nietzsche abboffandoli di cuoricini.
Mia mamma è confusa.
Continua a chiedermi: ma perché questi vogliono fare amicizia con me che manco mi sanno?
Mamma, è il social network.
Ho capito, ma io tengo sessantaquattro anni, questi so’ giovanotti.
Mammi’, saranno necrofili, che ti devo dire?
E’ confusa, la povera donna, non si fa capace.
Sì, ma io non ho capito una cosa: perché Mariastella de Bumbis ci fa sapere che si è iscritta al gruppo “Questi frullati di frutta avranno più successo di Alvaro Vitali?”
Perché siamo in un’epoca di condivisione, mamma. La gente vuole comunicare, dirsi, riconoscersi, affiliarsi, appartenersi.
Sì, ma a noi che ce ne importa?
Vabbuò, jà, ma allora tu del social network non hai capito niente!
Ma dove lo trova la gente, tutto ‘sto tempo per scrivere?
Mamma, ma non scrivono: linkano. Trovano una cosa e la segnalano, la condividono. E’ una specie di comunismo delle idee, come lo scambio di figurine.
E dove le pigliano?
Dalla Rete, le scovano.
Scuote la testa, con un piede nella realtà e uno nella fossa virtuale.
Mammi’, se vuoi essere moderna ti devi attrezzare. Tu per esempio nel profilo non ci devi scrivere “casalinga”, ma devi trovare una formula più adeguata. Che so, “Manager per il terziario domestico”, oppure “Chef per microcomunità”. Una cosa accattivante insomma.
Ma pe’ fa’ che?
E che ne sai? Magari ti scelgono per un reality!

10 Risposte to “La modernità è un lungo processo di decostruzione. Come sfogliare una cipolla, insomma.”

  1. aitan Says:

    M'hai strappato un sorriso, e poi un altro a altri ancora, in serie. Qualcuno, però, era un po' contratto. Come quando si parla di corde in casa dell'impiccato. (A proposito di riso, le palle di ieri erano veramente buone e abbondanti sulla bocca di questo stolto che t'ha pure finito di inguaiare il piccì; spero che Anna, dopo, abbia fatto meglio ;o)Oggi sto tutto autocriticante; domani, chissà. 

  2. anonimo Says:

    cara,questo post, come spesso ciò che scrivi, attira molte riflessioni;io non sto su facebook, ma non sono contro la cosa,fb, non è "la" amicizia è "una" specie di amicizia relativa, come sono relative le amicizie tra genitori dei compagni di scuola ed altre forme di intersezione sociale,è una possibilità in più, integra, non sostituisce nienteIl fatto dei profili, è forse una delle pricipali attrattive: nell'era dell'insicurezza e della scomparsa dell'identità, l'occasione di rappresentare tratti di una persona che virtualmente dovrebbe essere se stessi è una opportunità troppo ghiotta per chiunqueQuelli che si proclamano contro la televisione di cui conoscono bene il peggio li conosco beneadesso ho sonno, poi torno :)cav

  3. hobbs Says:

    io "quel" gruppo la, lo apro sul serio…  🙂

  4. anonimo Says:

    …..Pirandello avrebbe trovato di che divertirsi con il fatto dei profili,c'è l'identità che crediamo di avere nel contesto in cui ci muoviamoc'è l'identità che a un certo punto il contesto ti restituisce come lo specchio dei negozi quando passi veloce, e non è quella che credevi di avere, e alora sono cazzi!Ed eccola lì, l'dentità che ti sarebbe piaciuto avere e che la rete ti consente di rappresentare,ma la verità abbaia come un cane al cancello mentre gli passi davanti in incognito manifesto,pure su facebookcav

  5. Flounder Says:

    aitan,privati del senso di colpa, nessuno di noi avrebbe potuto operare niente sul quel pc: era la ventola che raffredda il processore, ad essersi rotta.più un tot di virus che lentamente erodevano il tutto. 🙂

  6. anonimo Says:

    a me, invece, questae cose fanno un po' paura. :)lisa,utente quasi anonima

  7. aitan Says:

    Meno male, va, mi sento un po' sollevato, ora tra i miei sensi di colpa mi restano solo un migliaio di insuccessi miei ed altrui, la fame nel mondo, la nube polverosa e forse anche tossica, qualche suicidio sparso sulla terra e l'ingerimento della mela dell'eden.

  8. anonimo Says:

    L’ENERGIA DALL’INFERNO – NECROFILIA, ULTIMO ATTO

    “Quando guardo alla storia sono pessimista, ma se guardo alla preistoria sono ottimista”
(I. C. Smuts)

    Questo branco di intellettualoidi dell’ultima ora, produttori di libri in serie infiorati di dotte citazioni, si comportano come se la conoscenza e la ricerca della verità fossero il risultato di studio e di letture. Sapere scrivere e leggere, sono basilari per accedere a un buon ragionamento, ma senza la pratica, la passione e l’avventura trascendente, tutto si riduce ad arido apprendimento, mera informazione e autoreferenza.
Scienziati, filosofi, letterati, sociologi e antropologi, si domandano, sulle cause che hanno prodotto le nostre società moderne e dei loro effetti nefasti sugli individui (degenerazione, omologazione, necrofilia, deriva etica e morale) e sull’ambiente tutto.
La risposta ad un tale interrogativo, va ricavata dalla lettura delle Sacre Scritture che, in forma di metafora, collocavano l’inferno al centro della terra, all’opposto del paradiso, situato nell’alto dei cieli.
L’inferno, solitamente identificato con un mondo oscuro dominato dalle fiamme e dalle tenebre e sotterraneo, è collegato all’operato del Dio e della creatura superiore che ha originariamente introdotto nella Creazione l’errore, la menzogna, il peccato, e, in definitiva, “il principio distruttivo dell’ordine delle cose”. Tale creatura superiore si identifica nel diavolo – nella divinità del male. Il paradiso, diversamente, indica un luogo di piacere finale, sereno e non soggetto al trascorrere del tempo caratterizzato da pace e felicità.
Questa differenziazione di merito fra le due dimensioni metafisiche (distinzione relativa, alla loro diversa funzione), non è casuale ma, terribilmente profetica, individuando nel sottosuolo terrestre (inferno: posto in basso) la causa della nostra condanna, mentre, nella zona aerea celeste, le ragioni, della nostra salvezza.
Per tanto, l’errore (o peccato originale), che ha innescato questo processo degenerativo della coscienza umana, si consuma agli albori della Rivoluzione Industriale quando, in virtù delle nuove invenzioni, e dell’Energia necessaria al loro funzionamento, l’uomo (in maniera del tutto innaturale) ha rivolto la sua attenzione alle profondità della terra, mettendo così in atto quell’opera di profanazione e di violazione che, in seguito ne ha determinato la sua condanna. Se siamo in grado di dare un’interpretazione logica, corretta e conseguente alla narrazione biblica, riguardo a questo tema, possiamo dedurne il suo significato più remoto: l’Energia profonda è di natura maligna e quindi distruttiva, l’Energia alta, è di natura divina, creatrice e salvifica. L’inferno quotidiano che, oggi, sta divorando i residui barlumi di felicità e di speranza di un’umanità smarrita (defraudata da ogni principio etico e morale e avvolta dalle tenebre di una persistente paura esistenziale), è l’ovvia conseguenza indotta dal superamento dei ragionevoli limiti, fuori dai quali, ogni felicità trasfigura in orrore. Questa subdola “modernità “ne è la conferma inopinabile – la prova del nove che prescinde da ogni altra considerazione. Petrolio, gas, carbone e minerali/materiali radioattivi che (come in preda ad un’arsura nevrotica) abbiamo sottratto, senza sosta, al sottosuolo terrestre, sono la rappresentazione iconografica dello “sterco del Diavolo”, in cambio del quale abbiamo barattato la nostra anima e il futuro delle nuove generazioni.
Abbiamo scoperchiato il “vaso di Pandora” e liberato quella maledetta energia che, la Volontà creatrice aveva, da sempre, sotterrato e imprigionato sotto i nostri piedi. Così ogni cosa è stata contaminata e violata; ogni acqua, ogni terra e ogni aria. Il cuore dell’uomo si è incenerito sotto la luce rovente della modernità e, le passioni, i sogni, i sentimenti, atmosfere ed emozioni, si sono dissolte come fumo nel vento. Avremmo dovuto rivolgere il nostro sguardo al cielo, sull’esempio delle grandi e illuminate civiltà del passato, e seguirne il cammino intrapreso, con la necessaria umiltà, deferenza e il dovuto timore.
La Rivoluzione Industriale, si è presto trasformata in una rovente fucina dove, Satana in persona, a forgiato a sua immagine e somiglianza, l’originaria natura umana, depotenziandola da ogni slancio creativo e passionale.
    Il problema dell’uomo “moderno” sta nell’ordinamento sociale non adeguato alle sue reali e naturali potenzialità e aspirazioni, negandone così la sua autenticità e lo scopo.â€¨È interessante la conclusione di Erich Fromm quando afferma che, così come esiste una “follia a due”, esiste anche una “follia a milioni”. Il fatto che milioni di individui condividano gli stessi vizi non fa di questi delle virtù e quindi, nel caso, milioni di persone condividono la stessa società e le stesse patologie.
Una società sana deve insomma sviluppare quelle condizioni che possano promuovere la salute mentale e quindi favorire prospettive, progetti ed obiettivi, sostenendo la tendenza dell’uomo ad amare i propri simili, anziché creare condizioni di divisione e di competizione.
    L’aggressività maligna, è quella pulsione irrefrenabile che induce alla spinta distruttiva, ben spiegata, da Fromm, nell’atteggiamento del sadico, il cui desiderio è trasformare una persona in un oggetto, in un elemento di possesso, su cui esercitare la propria volontà dispotica e oppressiva. Per il sadico, l’annientamento dell’altro, è la gioia più grande che va oltre il piacere di infliggere sofferenza. In quest’ottica si delinea quindi, quello che Fromm definisce, un atteggiamento necrofilo dove, la tendenza di vita (insita nel biofilo) viene progressivamente ridotta fino a farla diventare inanimata; questo amore e questo tendere verso l’inanimato viene definito da Fromm, necrofilia.
Quello che emerge dall’analisi di Fromm è che l’aggressività e la distruttività umana risentono delle condizioni ambientali in cui l’individuo nasce, cresce, matura e, della struttura, del sistema sociale stesso. Da qui le risposte potenziali sono due: la prima è la sindrome alla vita; ma quando l’uomo viene soppresso, frustrato e alienato, l’altra risposta, che è in grado di dare, è di tipo distruttivo, regredendo verso stadi inferiori e volgendo alla necrofilia che porta inesorabilmente alla sindrome che ostacola la vita.
Lo stesso “Futurismo” si offre all’era elettromeccanica e aderisce alla storicizzata avversione, di stampo “barocco”, verso una “natura” naturale in trasformabile. Sarà proprio l’amore incondizionato verso la natura artificiale (in qualche modo privata dei suoi attributi vitali), a far insorgere, in uno studio di Erich Fromm “Anatomia della distruttività umana” (assolutamente da leggere!!), il sospetto che Marinetti, insieme ad altri famosi casi analizzati come Hitler o Churchill, fosse affetto da tensioni necrofile.
La necrofilia può essere descritta come l’attrazione per tutto quanto è morto, putrido, marcio, malato; l’impulso volto a trasformare quel che è vivo in qualcosa di non vivo; di distruggere per il piacere di distruggere, l’interesse esclusivo per tutto quanto è puramente meccanico – la passione di “lacerare le strutture viventi”. Secondo Erich Fromm la necrofilia si manifesta con l’amore per le macchine, per tutto ciò che non è vivo – l’avversione per le persone, gli odori, i sapori, i colori, e per tutto ciò che ricorda la vita.
La tecnica, che rappresenta la base su cui poggia l’organizzazione dei sistemi industrializzati, è strettamente legata alla spinta distruttiva della necrofilia. L’escalation della capacità distruttiva delle armi e la possibilità di evitare il contatto fisico con la vittima offerta dal progresso scientifico, rende profondamente impersonale il dare la morte ad un altro essere umano, specialmente in caso di guerra. Fromm ipotizza il caso estremo di un soldato addetto a sganciare una bomba nucleare da un aeroplano: la consapevolezza dell’atto di uccidere è quasi inesistente, e la differenza fra la morte di una, dieci o un milione di persone (non essendo percepibile dall’esecutore), non ha nessuna rilevanza; il compito del soldato si riduce all’utilizzo corretto di una macchina (la macchina viene servita), senza che scrupoli di altro genere interferiscano a livello della coscienza. Con la “tecnicizzazione della distruzione” avviene la rimozione del “riconoscimento affettivo completo per quello che si sta facendo” e perciò la sua …

  9. anonimo Says:

    QUESTA NOSTRA, UNA VITA APPARENTE
     
    Sull’onda dell’entusiasmo e di una novità fatta di, promesse, aspettative e speranze, per una qualità di vita migliore e più felice, è stata definito, rivoluzionario, quel processo di industrializzazione che, nel solo arco di un secolo, ha sbaragliato dal campo le società contadine per imporsi come parametro assoluto di riferimento.   
    Ma le rivoluzioni, sono portatrici di fratellanza, uguaglianza e libertà (sinonimi di felicità), in netta antitesi con quella “industriale”, equivalente di, omologazione, licenza, schiavitù e catastrofe ambientale. Una mera illusione, avallata, mitizzata e propagandata da quel primitivo gruppo di “furbetti del quartierino” che, alla fatica dei campi e all’intelligenza, aveva anteposto (per facilità di applicazione) le più congeniali e caratteriali, inettitudine e furbizia. Tutte le promesse e le speranze, sbandierate in questo secolo, sono state disattese e umiliate. Quel processo di semplificazione che ha traghettato l’uomo da un passato industrioso a un presente industriale, è miseramente fallito. L’autonomia di un tempo, presupposto di libertà e decoro, è degenerata in dipendenza dal Sistema e, la salutare e appagante fatica dell’uomo contadino, in lavoro meccanico, frustrante e senza dignità. Per tali motivi, l’individuo umano del passato, cosciente e responsabile, si è involuto in umanoide robotizzato; un automa che si attiene rigidamente alle regole stereotipate di un libretto di istruzioni che il Sistema gli consegna al momento della sua venuta al mondo. A un tale uomo è negata la felicità.                                                                                                                                                                                                                                                                                    
    Gli individui ben differenziati delle società contadine, proprio in virtù della loro autonomia, disponevano di quel tempo libero (indispensabile e necessario), che dava un senso alla loro esistenza ed era motivo di socializzazione, tradizione, fantasia, pura introspezione e svago. La variabilità del tempo, li costringeva per lunghi periodi, ad abbandonare la fatica dei campi, potendo così concedersi lunghe pause di rigenerante riposo, e in occupazioni manuali/artigianali, fonte di creatività, ispirazione e consapevolezza. Oggi, con il Sistema industriale, ogni più remoto barlume di dignità è stato per sempre cancellato. Un uomo, costretto a lavorare otto ore, ogni santo giorno (che piova o tiri vento), per quarant’anni della sua vita dentro una fabbrica malsana, caotica e assordante, per miserabili 1000 euro al mese non solo, è un irresponsabile ma (senza il dubbio di essere smentito), uno psicopatico.
    Questo, vale anche per le otto ore svendute di fronte ad un computer, o alla guida di un Tir, o alla cassa di un supermercato. Questa non è la vita o estrema condizione di sopravvivenza, ma stato vegetativo.
    L’uomo ragionevole, muore per un calcio sferrato dal suo cavallo, per essere caduto ubriaco dal fienile o, colpito da un fulmine in una notte di tempesta, mentre cerca di radunare il suo gregge di pecore. L’uomo ragionevole, muore annegato, dopo essere caduto con la sua bicicletta in un fossato, di notte, tornando dall’osteria verso casa. Muore di fatica, dopo avere dissodato, con la sola forza delle sue braccia, un campo di patate. L’uomo ragionevole, muore soffocato dall’ultimo boccone della sua cena o, avvelenato dalla puntura di una vipera – muore per un colpo di pugnale al cuore, sferratogli dal suo acerrimo nemico, per una parola di troppo. L’uomo ragionevole muore da uomo, perché la memoria delle sue azioni, sia da conforto per tutti quelli che lo hanno amato.
    L’uomo ragionevole cerca l’autonomia e la libertà, in una condizione di autenticità, e di qualità della vita
    Diversamente, meglio sarebbe per lui, vivere di espedienti e trovare ristoro, nel freddo di una baracca di lamiera e cartone e che fosse la carità, a soddisfare i suoi bisogni, e le notti stellate, i suoi sogni.
    L’uomo di quest’epoca insensata si deve ribellare, e riappropriare dell’unica cosa che è capace di produrre miracoli, e in grado di riesumare autentiche passioni e vere motivazioni: la Terra.
    La Terra, è il vero potere! Il solo potere al quale possiamo serenamente sottometterci sapendo che, domani, per noi sarà un altro giorno. Un giorno nuovo, pieno di aspettative e di speranze, di sana fatica, sereno riposo e felicità.
     
    Gianni Tirelli
     
      
     

  10. anonimo Says:

    haha, complimenti, sono arrivato qua random da google.
    ho letto con piacere e sorriso diverse volte, notevolissima la definizione di "manager per il terziario domestico". 

    ti leggerò ancora, a presto!

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