Piccole marioliggie senza importanza

Era da tra mesi che ci stavamo pensando, io, Giacchino e ‘o stuorto.
Ci avevamo cominciato a pensare una domenica di settembre, una mattina che eravamo andati a Bacoli per farci un bagno e per terra avevamo trovato un grattino del parcheggio nuovo nuovo, senza essere grattato. Quello che durava fino alle quattro e mezza.
Uà, e che ciorta!, aveva detto Giacchino. Ce ne vulesse uno accussì tutt’e dummeneche.
Che poi pure che non tenevamo la macchina comunque faceva specie di trovare un fatto così.
‘O stuorto invece teneva sempre qualcosa da dire, un carattere fetente che gli era venuto da bambino, quando dopo ogni ragazzata lo lasciavano là, a lui solo, e con quella coscia offesa non poteva correre come gli altri, e ne acchiappava solo mazzate.
‘O stuorto, che era di animo malinconico e insieme polemico, disse: uno solo? E che te ne fai? Ti accontenti di piaceri effimeri e volatili. Ce ne vulesse ‘na vrancata!
‘O stuorto sapeva un sacco di parole difficili che si imparava sul vocabolario del nonno e le buttava là per fare impressione. Lui arrancava con la coscia, noi con le parole. Lui teneva le idee, ne teneva assai. E noi gliele facevamo camminare.
Come quella volta che si era inventato che durante l’estate dovevamo lavorare come garzoni di salumeria dalla mamma di Giacchino e che per ogni consegna a domicilio che facevamo, ci imparavamo una poesia con le rime da recitare alla signora per aumentare la mancia. Lui scriveva le poesie e noi ci mettevamo la faccia.
Le poesie, mo’.
 “Signo’, v’o giuro annanz’a ‘stu prusutto/ che ‘o core mio annanz’a vvuje sta chino e strutto/e si nun fosse ca site già ‘nzurata/ je ve facessa ‘na bella cunsignata”.
Fino a che una mattina scese il marito della signora Marciano e si rivolse a Giacchino: giuvino’, si tenite ‘o core chino ‘e strutto, faciteve vede’ d’o cardiologo, sentite a ‘mme. O si no annanz’a ‘stu prusutto/pure finite co’ qualcosa ‘e rutto…
Però questa volta il fatto era ancora più serio, era un piano criminale.
Era qualcosa che non avevamo mai fatto.
Sì, ci eravamo fottuti qualcosa dai negozi, dai supermercati, una coca-cola, qualche maglietta sopra alle bancarelle. Ma non era come rubare veramente.
Era che certe volte non tenevamo i soldi, e altre volte, pure se li tenevamo, dovevamo fare gli sfaccimmi.
Questa volta invece ‘o stuorto voleva fare una rapina.
Io non lo so se me la sentivo. Giacchino non diceva niente. Giacchino non diceva mai niente, basta che poi dopo si mangiava. Teneva sedici anni e pesava centoquaranta chili.
Giacchi’, tu che ne pensi?, gli chiedevo quando stavamo da soli.
Stava un poco in silenzio, con gli occhi chiusi, poi li riapriva lentamente e con quella vocina che non ci azzeccava niente col resto del corpo, stabiliva: e addo’ sta ‘o  problema? Poi ce ne jammo add’o Merlone a ce fa’ ‘na pizza.
Il piano era questo: ci dovevamo scegliere un quartiere dove non ci conoscevano. Entravamo in una tabaccheria con la scusa delle sigarette. Il tabaccaio cominciava la jacovella: ma quanti anni tenete?
Noi dicevamo diciotto.
Il tabaccaio non ci credeva e noi insistevamo, fino a che non perdeva la pazienza e ci chiedeva di cacciare i documenti. A quel punto Giacchino faceva finta che si sentiva male e che sveniva. Noi ci scordavamo delle sigarette e chiedevamo al tabaccaio di aiutarci a tirarlo su da terra, che a due di noi, uno pure zoppo, non ce la potevamo fare. Il tabaccaio usciva da dietro al bancone, ‘o stuorto inciampava e gli cadeva addosso e io mi fottevo una vrancata di gratta e vinci e poi ce ne scappavamo.
Alla fin fine, diceva ‘o stuorto, non è che ce simmo arrubbati niente. Può essere pure che escono tutti negativi e ci troviamo con un montone di cartuscelle inutili. Se invece ci va bene, ce li dividiamo e ce li andiamo a incassare un poco alla volta, nel resto della città.
Ci demmo appuntamento il cinque dicembre a Fuorigrotta, dove non ci sapeva nessuno.
Entrammo e chiedemmo un pacchetto da dieci di Merit. Alla cassa stava una ragazza che chiese: le volete normali o light?
‘O stuorto si innervosì e cacciò due o tre delle parole che sapeva lui: signorì, voi non tenete deontologia professionale.
La ragazza lo guardò senza capire. Poi aggiunse: scusate, mi credevo che volevate le sigarette.
‘O stuorto le rivolse un’occhiata schifata: siamo minorenni, voi le sigarette non ce le dovete vendere. Ci dovete chiedere se teniamo i documenti. Poi fece perno sulla coscia funzionante, girò le spalle e se ne uscì.
Guagliu’, accussì ‘o piano nun po’ funziona’. Stammo dint’a ‘na città illegale e c’avimmo adegua’.
Lasciammo sta’ ‘e sigarette e concentriamoci sullo svenimento.
Facemmo due settimane di prove fino a che Giacchino acquistò una capacità teatrale che faceva paura. Una volta ci fece pure a noi. Ci fece mettere una tale paura che era morto che dopo un quarto d’ora, quando finalmente aprì gli occhi e noi stavamo bianchi come due fantasmi, e disse: e mo’ dateme nu kindèr ca me sento ‘e murì, ‘o stuorto si prese la coscia con le mani e con tutta la forza che gli restava gliela schiantò sotto. Poi disse: e muori, strunz’!
Nico’, gli dicevo, secondo me il piano non può funzionare. Quelli i biglietti tengono la serie stampata dietro. Basta che il tabaccaio fa la denuncia e ci acchiappano. Come appena ci andiamo a incassare quello vincente, ci chiedono: ma dove li avete presi? E noi non teniamo scuse.
‘O stuorto ci rimase male, che con tutte quelle parole difficili che pure sapeva, a questo fatto non ci aveva pensato e si sentiva un poco di fottere, che lui era sempre la mente del gruppo, ma questa volta aveva fatto acqua ‘a pippa.
Si innervosì assai e disse: vabbuo’, fottetevi. Vuol dire che per i regali di natale alle compagne vostre vi dovete ancora fregare i soldi dal portafogli di mammà, comm’e creature.
Io nun ‘a tengo ‘a cumpagna, disse Giacchino. A me nun me ne importa.
‘A tieni, ‘a tieni, rispose Nicola indicandogli la pancia enorme. E chest’è peggio ‘e ‘na guagliona: te sta semp’ ‘ncuollo.
Giacchino rideva. Si toccava la pancia come fosse stata una femmina e ci parlava, faceva la voce come nei film: sì, sì, faje accussì, accussì. Ancora, ahhh, sìììììì.
‘O stuorto non teneva il senso dell’umorismo. Rideva solo se le battute le faceva lui. Se no si metteva con la faccia appesa, l’espressione filosofica e guardava schifato. Poi dopo due o tre ore gli passava e ricominciava da dove aveva lasciato.
E se no, disse, se no ci rubiamo i francobolli e le marche da bollo. Quelli la serie non la tengono.
E che ce ne facciamo?, chiesi io.
Che ce ne facciamo? Chili so’ sordi. Ce li rivendiamo.
E a chi?, chiedevo io, forse ingenuamente. A chi li diamo?
E se no ce li allecchiamo, aggiunse Giacchino. Che una volta per sbaglio si era mangiato uno scatolino di colla, pensando che era gelatina, e gli era pure piaciuta. E di nuovo si toccava la pancia e tirava fuori quella lingua enorme, rossa, pastosa, fingendo di avere la ragazza di prima: vieni, bella, che ti allecco sana sana.
Voi non andrete mai da nessuna parte, ci diceva ‘o stuorto, schifatissimo. Siete due imbelli, due ignavi.
Giacchino mi si sporgeva all’orecchio e chiedeva: che vo’ dicere co’ duje imbelli? Sta sfuttenno?
Giacchi’, nun ‘o saccio. Cert’è che tutta sta bellezza je nun ‘a veco. Però pur’isso è bruttulillo.
Alla fine ci rubammo un pandoro fuori a un supermercato. Che non era rubare veramente. Stava là, a portata di mano.
Nicola disse che faceva schifo, che era dell’anno passato e che stava pieno di conservanti.
Giacchino gli tirò la fetta di mano e rispose: dammelo a me, che si moro mammà si leva ‘nu debito e piglia ‘na Sisal.
A me mi veniva da piangere. Glielo volevo chiedere a Nicola, il perché, ma stava troppo a filosofo e non gli volevo dare soddisfazione.

5 Risposte to “Piccole marioliggie senza importanza”

  1. anonimo Says:

    Anche questo esige soddisfazione.
    Una sorta di solitignoti in versione partenopea.
    A proposito. Anche se non pare, il racconto austriaco e quello che va per la maggiore ora (Io non me ne curavo) fanno parte della stessa storia. 
    Saranno attaccati tra loro, mi sa.

  2. aitan Says:

    mado', mi so' troppo rivisto io preadolescente

  3. anonimo Says:

    E qual eri? Giacchì, io o 'o Stuorto?

  4. anonimo Says:

    Il racconto l'è bellino molto. i personaggi funzionano e insieme sono una musica d'orchestrina. un racconto di carne, 'a cecella. e chi racconta pure.

  5. anonimo Says:

    direi una Gurbj o una Lisa.
    ma quella cecella non mi quadra 🙂

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