Dietro un naso di plastica si nasconde quello vero. Che spesso è più bello.

Quando ho scritto tutta l’ epopea del circo ho cercato  con cura ogni singolo pezzetto musicale.

Mancava il pagliaccio, mi ha detto qualcuno.

Ho una repulsione per i pagliacci, non è colpa mia. Allora prendo in prestito le parole di qualcun altro.

Questa è la storia di un clown che nello sguardo non ha più nulla di reale.

Che forse potrebbe fare un altro lavoro, ed essere impegnato come la maggior parte di noi, dalle nove alle cinque.

Aver a che fare con numeri e cose simili, muovendo piano le labbra, senza che ne venga fuori nulla di simile a una vera conversazione.

Il  cuore totalmente immobile.

Non lo scuote nemmeno più il suono degli applausi o la risata dei bambini: come immaginare un’altra vita possibile oltre il tendone?

Eppure un giorno qualcosa si muove, piano piano.

Forse è il tempo di aprire la gabbia e tornare per la strada, provare a incontrare la gente che sorride, mettere via quel naso rosso.

Forse è il momento di uscire dal tendone e vedere cosa c’è fuori.

E’ che in fondo ognuno vive come sa, come può.

Ognuno ha il suo tendone gommato a proteggerlo, ognuno sa quando uscirne.

E se io avessi saputo scrivere di un pagliaccio, avrei scritto proprio questa storia qua.

51 Risposte to “Dietro un naso di plastica si nasconde quello vero. Che spesso è più bello.”

  1. Flounder Says:

    (la verità è che ogni personaggio del circo conteneva molto di me e riuscire a vedersi da soli il proprio naso rosso non è facile)

  2. cletus Says:

    poi, a parte…(ma anche no), te lo dico io.

  3. Bustrofedon Says:

    …soprattutto se è rosso perché hai bevuto 🙂

    Poi, un giorno, ci soffermeremo sul fatto che tu sei la prima a commentare un tuo post: schizofrenia?

  4. Flounder Says:

    grazie, cletus: sei un amico 🙂

    bustro, non è schizofrenia, giuro. e nemmeno mania di protagonismo.
    è che il post ha una sua completezza in sé, questa è la nota a margine.
    (questa canzone ha fatto tutta una strada dallo stomaco al naso)

  5. Modesta Says:

    …mi si sta lacerando il tendone gommato. E’ tornato l’Universo.

  6. Effe Says:

    è che nessuno può scrivere la propria storia, finché non esce dal tendone
    (ma si può scrivere quelle degli altri e poi procedere al baratto)

  7. Flounder Says:

    scambio storie altrui con storia personale.
    astenersi portatori di finali tragici.

  8. Flounder Says:

    modesta, l’importante è restare fermi.

  9. Flounder Says:

    e siccome sto assai languida, vi lascio pure il tanghetto della giornata

  10. essenziale Says:

    tu starai pure assai languida ma ci pensi che un tanghetto col violino può anche uccidere al rientro da pastiere e varie ed eventuali?

  11. Flounder Says:

    fra poco il titolo del blog cambierà nuovamente.
    sarà Certe piccole lunfardìe 😀

  12. essenziale Says:

    tu davvero ne sai a pacchi!
    anche di Vocabulari

  13. Modesta Says:

    sono stata ferma assai Flo, mò bisogna muoversi un pò, poi mi rifermo, che mi dovessi stancare troppo…. però prima mi sgranchisco un pò le gambe, e il cervello…

  14. Modesta Says:

    p.s. i pagliacci non piacciono nemmeno a me, chissà perchè poi….

  15. ArimaneBis Says:

    scambi storie, Flo?
    ecco qui il mio circo.

  16. ArimaneBis Says:

    scambi storie, Flo?
    ecco qui il mio circo.

  17. ArimaneBis Says:

    ma che combina Mr Splinder?
    pardon!

  18. Flounder Says:

    arimane, scambiare le storie con te è proprio bello.
    poi solo ultimamente ho scoperto anche i tuoi blog secondari.
    tu sei uno di quelli che scrive con accuratezza, senza alcuna casualità, senza equivoci.
    che poi Рchecch̩ ne dica effe Рtu andresti letto su carta, sottolineato in alcuni punti, con delle orecchiette alle pagine in altri.

    io stanotte ho sognato un film che avevo completamente rimosso, ma per fortuna nel sogno ho visto anche l’attore, il che stamattina mi ha permesso di cercarlo su google: il film è Trapezio, con un giovane Tony Curtis.

    ma ve lo ricordate quanto è bello?

  19. Flounder Says:

    modesta,
    a me non piacciono quelli che fanno gag e capitomboli. ma quelli tristi sì.
    secondo me il pagliaccio inquieta perché ha una doppiezza esplicita, una disgregazione che non viene celata. è come se un po’ facesse da specchio alle fratture che pure noi abbiamo e che vorremmo ricomporre.
    oppure perché ricorda che abbiamo tutti quanti una seconda anima – un lato a volte più cupo, a volte più luminoso – che è quello che non riusciamo a vivere completamente, che teniamo un poco in secondo piano per paura che scardini le regole.
    ecco, la questione è che il pagliaccio rompe la regola.
    (io poi sono assolutamente convinta che per trasgredire una regola – una qualsiasi – la si debba prima conoscere alla perfezione, averla introiettata. saperla maneggiare per valicarla. non si diventa pagliacci per caso. non si diventa niente, per caso)

  20. Modesta Says:

    a me il pagliaccio triste mette una profonda depressione. Il Circo di Chaplin fu drammatico per me bambina.
    E’ che immagino che nella realtà questo pover’uomo sia ancora più triste di quanto trasmetta in scena.
    Insomma sull’orlo di un suicidio.
    Non me ne vogliano i pagliacci tristi.

  21. broono Says:

    Io una volta ho conosciuto un signore che andava in giro con il cuore in mano e quando incontrava qualcuno che non rideva lui lo faceva ridere perché diceva che non bisogna mai smettere di ridere e un giorno quel signore rideva così tanto che si è dimenticato di togliersi il naso rosso e quel giorno tutti ridevano e nessuno diceva che i signori con il naso rosso dentro erano tristi.

    Io quell’uomo lo conosco e so che è vero.

  22. Modesta Says:

    ho letto solo il primo link. Questi non sono pagliacci tristi, tutt’altro, questi si mi piacciono, stile Patch Adams.
    Ma è un discorso diverso, in un contesto diverso. La mia riflessione si limita ai pagliacci tristi e un pò decadenti che a dirla tutta non so se esistano ancora. Al circo non vado da una vita ma quando mi capita di sbirciare in TV, mi sembrano sempre coloratissimi e gioiosi.

  23. Flounder Says:

    assolutamente vero, broono.
    ma proprio sul linguaggio degli ospedali è ancora più vero che chi arriva a saper dissipare la tristezza (non tanto dei bambini, quanto dei genitori degli ospitalizzati) è chi quella tristezza la conosce bene.
    credo che sia un po’ come il fatto dell’autoironia: è possibile solo quando si sono accettati i propri limiti.

    (e poi che i comici professionisti nella vita privata non siano affatto ilari come danno a vedere non l’ho mica inventato io)

  24. hobbs Says:

    è che se ti dipingi il sorriso, prima o poi, qualcuno se ne accorge, ecco.

    non sento un acca, ma tu, avresti saputo scriverne, ne son certo.

  25. Flounder Says:

    il sorriso nello sguardo invece no, quello non si può dipingere.

  26. hobbs Says:

    che poi, pianto e riso a volte si confondono. Sull’ambiguità di certi sentimenti si gioca anche la comicità. ma i clown non fanno ridere, più spesso, fan tenerezza.

    ci siamo commentati alle 21,31 contemporaneamente e in assetto variabile…:)

  27. Flounder Says:

    hobbs, questo è fantastico.
    qualunque cosa accada, abbiamo entrambi un alibi.
    sappiamo dove eravamo alle 21.31 dell 11 aprile
    (e c’è anche qualcosa di cabalistico nella serie 11-21-31)

  28. hobbs Says:

    ce li giochiamo?

  29. broono Says:

    Credo siano due discorsi diversi e che li si voglia affiancare più che altro per il timore che uno smentisca l’altro, quando in realtà così non è.
    Io volevo solo raccontare di un uomo che ha scelto di dare un senso diverso a quel naso e volevo raccontarlo per spiegare che non è nel naso, la tristezza, ma in quello che lo sostiene e volevo raccontarlo perché quell’uomo lì è proprio un grande uomo e forse non è un caso se fa ciò che fa.

    Se poi vogliamo provare (perché io non l’ho mai fatto) a parlare dei clown che sanno alleviare la sofferenza attraverso il sorriso allora mi viene da dire che il discorso che solo chi conosce quella sofferenza può alleviarla, lo trovo sbagliato in una maniera che lo stesso contesto evidenzia.

    Dubito che tutti i clown che riescono ad alleviare la sofferenza di un bambino tetraplegico siano stati tetraplegici così come dubito che chi lavora nei reparti dei malati di cancro abbia nel proprio passato la consapevolezza di quanto possa essere difficile il percorso di un malato di cancro, sofferenza conoscibile (così tanto da trovare una ricetta donabile) nel profondo solo da chi l’ha provato all’interno del proprio corpo.

    Questo dimostra che quello che loro offrono è una “ricetta”, non un trasferimento di esperienza elaborata.

    Per quanto riguarda invece l’autoironia, anche in questo questo caso mi trovo a dissentire.
    I clown che lavorano negli ospedali non lavorano su loro stessi.
    Cioè si, ma nel senso in cui lavorano per loro stessi tutti colori i quali dedicano tempo al volontariato, ma questo lavorare per loro stessi e su loro stessi è un discorso che si applica a piani diversi che non hanno a che fare con l’azione pratica ma con i benefici che chi quell’azione compie dona prima di tutto a se stesso.
    Ma nella pratica ciò che fanno è offerto a persona esterna a se stessi.

    L’autoironia è sicuramente pratica possibile solo per chi conosce e soprattutto sa controllare e convivere con i propri limiti, ma è una pratica che parte da sé stessi e arriva a sé stessi, senza altri attori in mezzo.
    Quindi discorso giusto, ma che nulla ha a che fare con ciò che muove chi dona un sorriso a un bambino malato.

    Ma ripeto, parlo per analisi esterna.
    Semplicemente mi sembra (senza offesa s’intende) un po’ forzato il voler mischiare le due cose e mi pare lo si voglia fare più che altro per confermare la teoria che vede il clown per forza come una persona triste alla base.

    Non so, quell’uomo lo conosco e lo trovo in un certo senso malinconico, si.
    Ma lo trovo malinconico per assorbimento di malinconia esterna a sé, non perché lo sia di suo.
    Chi non assorbirebbe uno strato di tristezza in sé, in fondo, dopo anni tra bambini che ci metti un giorno intero a far sorridere ma non per questo potrai esser certo che domani li troverai lì a dirti grazie.

    Io credo che solo chi, sulla bilancia delle tristezze che tutti hanno e delle gioie che pochi sanno costruirsi, ha una differenza evidente a favore delle seconde, possa riuscire a far sorridere chi soffre.
    Proprio per una questione di privazione di gioie personali a favore di qualcun altro.
    Proprio per il principio del travaso.
    Devi averne tu in abbondanza, di sorrisi, per continuare ad aver la forza di donarli dopo la prima volta che ti è riuscito.

    Oh, poi può essere la mia solita sequenza di minchiate, eh, intendiamoci.
    Che come per i sorrisi del discorso là sopra, sulla mia bilancia ne ho in abbondanza da regalare almeno a tre generazioni.

    (ma anche sei)

  30. Modesta Says:

    ….scusate… ehm….. volevo dire…così a bassa voce, che per quanto mi riguarda ho espresso una Sensazione, congenita, inspiegabile perchè appunto, sensoriale non pratica, che se proprio proprio vogliamo essere concreti allora direi “che ne so se sono tristi o no, non l’ho mai conosciuto un clown!”.
    😉

  31. Flounder Says:

    operiamo dei distinguo.
    un conto sono i pagliacci da circo.
    un conto sono i ragazzi che fanno volontariato col naso rosso.
    un conto i medici che si occupano di clownterapia.

    i primi possono essere felici o tristi, contenti o scontenti. non ce ne importa: sono la merce offerta in cambio del prezzo di un biglietto.

    i secondi fanno interventi di brevissima durata e non hanno in carico la salute fisica o mentale dei pazienti: occorre solo che non siano aggressivi, nel bene e nel male.

    i terzi, invece, hanno un codice deontologico e un percorso formativo molto forte. devono apprendere tecniche di comunicazione, fare corsi di psicologia dell’età evoluta e relazionale, anche per lavorare in posti come carceri.

    i dottoriclown si devono leggere un sacco di libri e articoli molto belli in cui imparano un sacco di cose, per esempio che nella figura del clown confluiscono altre due figure non meno importanti: l’imbroglione e lo stupido.

    l’imbroglione, lo stupido e il clown formano una specie di trilogia del paradosso, con caratteristiche comuni ai tre e profonde differenziazioni.

    nell’imbroglione prevale un istinto doloso, ma ciò non esclude un momento di eroismo, in cui salva la vita di qualcuno, per esempio.
    lo stupido non ha colpa di nulla, è semplicemente uno che trasgredisce le regole del mondo senza rendersene conto.
    il clown li trascende entrambi: è colui che imbroglia senza volontà di ledere ed è colui che trasgredisce il mondo non perché non sappia cosa sta facendo, ma perché non condivide le regole del mondo.

    di conseguenza una clownterapia correttamente condotta mira proprio a riconoscere dentro di sé queste tre parti, a integrarle e a permettere che il paradosso irrompa, scatenando un’energia creativa e liberatoria che in sé ha il potere di guarire.

    queste sono operazioni delicatissime, in quanto un lavoro condotto male porta alla follia di credere che tutto possa esserti concesso, qualunque infrazione alle regole.

    i dottori clown si preparano a questo. ma per farlo devono aver accettato anche loro di essere stupidi o imbroglioni, in qualche parte di sé.
    è un lavoro che non è privo di crescita per nessuno e nemmeno di tristezza

    ora io non parlavo della condivisione di identiche sofferenze, ma della capacità empatica, del riuscire a saper distinguere – nel paziente – se è triste, arrabbiato o altro.
    senza questo fatto non si va da nessuna parte.
    il riso da solo non basta.

    nemmeno la pasta.

    (e ridete, su)

  32. Flounder Says:

    (invece il post parlava proprio di tutto un altro fatto: dell’indossare una maschera per gli altri e alla fine riuscire a convincere se stessi. far ridere senza che questo riesca a toccarci. avere un personaggio che ci imprigiona, un tendone ristretto. il bisogno continuo di applausi che nel tempo si svuotano di senso. la sfida di un nuovo modo di vivere e questi fatti qua)

  33. Modesta Says:

    e qui torna l’unverso! Ecco mi ritrovo, uff è stato faticoso seguirvi stasera…
    🙂

  34. broono Says:

    Lo so.
    Volevo solo approfittare del “tema” per far sapere che non troppo lontano c’è una persona proprio bella.

    Ma come sempre mi sono fatto trasportare e come sempre ho pisciato fuori dalla tazza e sempre come sempre la replica mi ha indicato dove si trova la pila di pannolini.

    D’ora in poi inizierò sempre i miei interventi con un “Posso dire una roba che non c’entra nulla ma che la vesto da tema per non sembrare uno che non segue?”

    Signora mia, Lei è affascinante.

    Essere zittiti da Lei è un piacere raro, perché quando capita ci si ritrova sempre con quel retrogusto di botta di culo che gratifica.

  35. Flounder Says:

    e tu, caro lettore, sei:
    a) imbroglione
    b) stupido
    o
    c) clown?

  36. Modesta Says:

    io mi sento tendone gommato

  37. Flounder Says:

    (broo’, ti giuro: mai come questa volta l’ho fatto apposta. a fare il riassunto del post, intendo. era la mia clowneria notturna.)

  38. broono Says:

    P) scione.

    quando lavoro per il cavaliere…
    B) scione

    AH!AH!AH!

  39. Flounder Says:

    caro broono,
    lei svicola, depista, è evidente.
    le piacerebbe raccontarci che è stupido, ma un orgoglio spropositato glielo impedisce e poi – se lo facesse – ciò smentirebbe l’assunto.
    le piacerebbe finalmente raccontarci che è un imbroglione, ma non le va di calare l’asso così, senza aver elaborato un atto eroico con cui stupirci e riscattarsi.
    le piacerebbe infine raccontarci che è un clown, ma ciò che lei definisce trasgressione è ormai bagaglio consolidato, routine, quasi rigore privo di paradosso.

    broono, ma lei chi si crede di essere? 😀

  40. Flounder Says:

    (modesta, io pure peggio. tipo quella che ingoia i pezzi di vetro)

  41. Modesta Says:

    …buonanotte

  42. hobbs Says:

    mi ficco di diritto nella categoria imbroglione. me lo dicesti pure tu, tempo fa, che sono un bluff.

  43. Flounder Says:

    urca, te lo sei legato al dito?
    (o meglio, al naso?)

  44. hobbs Says:

    è li, tra i miei sms, come un monito :)….

  45. Flounder Says:

    hobbsino,
    io non voglio che le lettrici – dopo cotanto outing – pensino qualcosa di ignominioso a tuo riguardo.
    in realtà si trattava di una partita a poker telefonica.
    io ambivo alla doppia coppia e tu eri il jack di quadri 😀

  46. HangingRock Says:

    io trovo che sia bellissimo questo pagliaccio qui

  47. Su Says:

    oh che imbarazzo. Grazie hanging!

    che tra l’altro quella foto sta a dimostrare, come volevasi, l’ambiguità del clown.
    Infatti come da cliche, quel giorno ero di una tristezza abissale.

    io i clown non riesco a non amarli, proprio per quell’inseparabile mistura di riso nel pianto e viceversa, ma mi mettono sempre addosso una malinconia pazzesca.

    chiunque abbia avuto un trascorso teatrale che abbia compreso il lavoro sul clown, sa che la cosiddetta “ricerca del proprio clown” è una delle cose più difficili che ci siano.
    (la mia unica esperienza in merito la ricordo come traumatizzante, e non esagero).
    per darti una maschera che ti copra, ti mette a nudo.
    ma il discorso sulle maschere, sul triste nel comico ecc… è così lungo che avevo preferito non commentare.

  48. Flounder Says:

    io ricordo che quando facevo laboratorio teatrale l’espressione del comico era di un imbarazzo totale.
    preferivamo tutti interpretare madri che avevano perso i figli, malati gravi, mogli tradite, reietti dell’umanità.

  49. anonimo Says:

    Flo, mi istighi alla citazione! 🙂

    “Se io ti faccio un test e ti faccio indossare un naso rosso, tu ti metti a ridere. E’ una cosa che ti fa capire la vergogna di te stesso, l’imbarazzo, ma contemporaneamente ti fa ridere di te e dunque la tua vergogna diventa uno spazio educativo di felicità e di piacere. Ti permette di avere coscienza dei tuoi limiti. ti fa dire “Guarda, sono cretino e lo so”. (da: Miluod, il volto non comune di un clown)

    Mai fatto un aboratorio di teatro, ma per stare dalla parte del sicuro di un naso rosso mi sono dotata qualche tempo fa.

    MI

  50. anonimo Says:

    Laboratorio. Con la L. Uf.
    Mi

  51. Flounder Says:

    mi,
    io credo che uno dei miei più grandi limiti sia la paura di apparire ridicola o patetica.
    mi hanno insegnato che si chiama dignità, ma comincio a dubitarne.

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