Voi lo sapete ormai, cari e affezionati e smaliziati lettori, che c’era sempre – da qualche parte nella blogosfera – una bloggheressa che si era innamorata di un blogghèr.
E lo seguiva passo passo non solo nel suo blog, ma anche nella scheda personale, per andare a verificare dove e quando commentasse, cosa scrivesse e a chi.
Faceva l’analisi esegetica dei commenti, dei bioritmi elettronici.
Lo seguiva e non si dava pace.
Più lo seguiva e meno capiva.
E si chiedeva: ma perché mai va a commentare solo in quei tali posti e non nei talaltri? E perché non da me?
Ma che ci avranno queste bloggheresse qua da suscitare i suoi interventi?
E si struggeva e si interrogava.
E addobbava il suo blog con roselline e festoni, con un frigo bar e un’amaca.
Ma niente, il blogghèr lasciava altrove il suo prezioso verbo, la parola creatrice e ammaliatrice.
Allora la bloggheressa – si sa come sono le donne quando amano o credono di amare, si fanno perfide e spietate – cominciò a mettere in giro delle voci per screditare le rivali: diceva che queste qua tenevano un blog a ore, a pagamento, che scrivevano scrivevano e poi si facevano pagare per ogni post.
Insomma mise su una spirale di violenza e rancore, di maldicenza e livore.
Entrava in questi blog incriminati carica di commenti anonimi: tu, tu, puttana letteraria, molla l’osso ed il commento.
Oppure: meretrice in stile arial e corpo 11, confessa, che hai le O col silicone.
E ancora: vile marrana, la carta di credito non basta, il vero amore non si ottiene col commento all’asta.
Altre volte non scriveva niente, si appostava dietro la finestrella dei commenti e piangeva solitaria, triste da morire, triste come solo una bloggheressa può essere quando il blogghèr di cui è innamorata non ricambia il suo ardore.
Passarono giorni, settimane, mesi.
Poi un giorno finalmente la bloggheressa si innamorò di uno in carne ed ossa e smise di pensare al blogghèr. Cioè, ci pensava ogni tanto, ma non troppo tanto.
E poi un giorno, in una conversazione leggera, lui le raccontò che una volta aveva un blog e un nick. Lei trasalì, al cospetto del blogghèr di cui un tempo era stata innamorata.
La relazione – benché ormai prossima al grande passo – si interruppe bruscamente.
Alle famiglie affrante che chiedevano come e perché, l’ex-bloggheressa ed ex-futura sposa solo rispose: no commènt.
aprile 12, 2007 alle 5:16 PM |
E’ vero anche l’inverso
aprile 12, 2007 alle 5:19 PM |
l’inverso come?
di un blogghèr spione?
aprile 12, 2007 alle 5:21 PM |
no, di un donna che s’innamora di un uomo e poi….quando lui dice, ma io sono pure una persona in carne e ossa, ho un nome e non solo un nick,….
aprile 12, 2007 alle 5:22 PM |
Il blogghér non lo so.
Io avevo un ex-amico che leggeva i miei commenti in giro e poi mi mandava sms di controcommento.
Capirai il motivo per cui è ex.
aprile 12, 2007 alle 5:23 PM |
bustro, bustro, raccontaci tutta questa triste storia.
cosa accadde?
come andò a finire?
aprile 12, 2007 alle 5:31 PM |
Chi cazz’é costui?
Devo aspettarlo sulla homepage di splinder?
Lo lego a un indirizzo di un server russo e poi ci clicco sopra.
Salutalo.
In russia non ci vanno troppo per il sottile.
Un paio di scariche di overclock e ti risolvono il problema.
Menghia.
@
(è la coppola)
aprile 12, 2007 alle 5:33 PM |
e come vuoi che vada a finire, Flo’? Come tutte le storie accussì…
aprile 12, 2007 alle 5:33 PM |
riccio, ma proprio exexex.
da cancellare.
broono, ma ce l’hai con riccio o con me?
(parliamone, broo’, che qua il fatto è serio.)
aprile 12, 2007 alle 5:34 PM |
bustro, più che altro certe cose non vanno a finire.
nel senso che non vanno nemmeno a cominciare.
aprile 12, 2007 alle 5:34 PM |
…ma poi accussi si scrive così?
aprile 12, 2007 alle 5:37 PM |
Mica vero. E’ cominciano da una parte e non finiscono più nell’altra, e viceversa. Un inizio senza fine, senza neanche un continuum
aprile 12, 2007 alle 5:44 PM |
E’ vero anche l’inverso, confermo (nel senso del bloggher che s’infatua della bloggheressa e tutto il resto appresso). Certe cose funzionano o solo di qua o solo di lÃ
aprile 12, 2007 alle 5:45 PM |
ragazzi, parlatemi chiaramente.
voglio dati, concretezze, vicende.
se vi mettete scuorno potete dire che è successo a un amico vostro 😀
aprile 12, 2007 alle 5:48 PM |
(secondo me Broono ce l’ha con te, Flo. L’enfasi è quella. E poi lo sa che io menghia così glielo correggerei 😉 )
aprile 12, 2007 alle 6:12 PM |
ma no, no. se ce l’ha con me allora dobbiamo rettificare la questione.
occorre un brainstorming.
aprile 12, 2007 alle 6:21 PM |
ma difatti è successo a un amico mio.
ha perz’a capa per una che aveva certe manie. nulla di grosso, tutt’altro.
aprile 12, 2007 alle 6:25 PM |
Fuoridaidenti, se c’hai pure un’amica, che perde la capa per “nulla di grosso, tutt’altro” fai un fischio, ché qui ce n’é di che renderla felice.
AH!AH!AH!
(nessun brainstorming, caccia l’ip del marrano ché gli si formatta il piccì in un istante)
aprile 12, 2007 alle 6:56 PM |
Tutte le storie comunque comincino, vanno a finire.
Meglio in carne ed ossa almeno si liba per davvero e non tramite tastiera, commenti e webcam!
aprile 12, 2007 alle 7:15 PM |
guardate, mi state facendo confondere.
andiamo con ordine.
calma,
ma questa qua per cui aveva perz’a capa l’amico tuo come le teneva le manie?
piccole?
[famme sta’ quieta, per piacere :-D]
e il nulla di grosso riguardava lei o lui?
[che almeno lo sappiamo una volta per tutte e nun ce penzammo cchiù]
secondo fatto, broono.
ma quale marrano?
ma ti devo fare un disegno?
qua la marrana sono io, puttana letteraria e con le O siliconate.
qua m’appicciano il blog, broono.
uno di questi giorni mi mandano i sicari sotto casa.
non è me che spiano.
arrivano a me spiando.
[e qua c’è una parte di commento omessa per decoro, che eventualmente – on demand – riferirò privatamente]
sabrinamanca,
innanzitutto benvenuta.
tu ci hai ragione, ci hai.
ma qua la gente sai come pensa?
e vabbè – quando tutto manca – c’è sempre quel poco di internèt che ci dà l’illusione.
hai capito come stanno?
umanità di pervertiti. debosciati.
drogati.
sabrina, questo mondo è in decomposizione.
qua le storie non cominciano, abortiscono prima di nascere: c’è gente che si è fidanzata e sfidanzata in blog e su chat, ha fatto pure tre figli e non si sono mai visti.
qua c’è gente che per una volta che ha incontrato un blogghèr dopo ha preteso gli alimenti per quindici anni.
qua c’è gente che…
[è meglio che non lo dico, che poi m’appicciano ‘o blog]
aprile 12, 2007 alle 7:34 PM |
ma chitticredi di essere? quella blggeressa ammerregà na?
tzk!
aprile 12, 2007 alle 7:34 PM |
oggi in floridiana mentre camminavo tra le fresche frasche, sorridevo ai bimbi piccoli che mi salutavano con la manina, i grandi no, facevo foto per l’imperatore melpunk, sento dire alle mie spalle
“quelli fanno l’amore virtuale”
giuro eh!
aprile 12, 2007 alle 7:36 PM |
era lei che aveva qualche piccola mania. lui alla fine ha desistit(ic)o. come dicevo, o funziona di qua o di là . il mezzo è precluso
aprile 12, 2007 alle 7:44 PM |
calma,
osserverò un minuto di silenzio per commemorare questo piccolo lutto.
[ma lei lo sapeva, la bloggheressa?]
wos,
dezz american blogg. auanagana.
lo tieni il dollaro?
no?
allora non puoi commentare 😀
dido,
ma ce l’avevano con te? 😀
[qua siamo alla follia, alla follia pura. c’è un tizio con cui condiviso dei lavori un mesetto fa, ci siamo telefonati non so quante volte, al numero d’ufficio e sui cellulari, siamo stati a pranzo e cena insieme per lavoro e alla fine mi ha chiesto: ma qualche volta ti posso scrivere?
ma che gli vuoi dire a uno che ti dice così?
che gli vuoi dire?
io gli volevo dire: sparati.
poi ho pensato che lo poteva fare veramente]
aprile 12, 2007 alle 7:48 PM |
comunque un fatto è certo: a voi questi post di bloglovers vi piacciono troppassai.
ma com’è? 😉
aprile 12, 2007 alle 7:53 PM |
la favola scorre,
sulla morale ci devo pensare
aprile 12, 2007 alle 7:56 PM |
alllora se ho capito bene leggono i commenti su altri blog e poi ti seguono per arrivare qui?
uff ma com’è che ultimamente mi perdo così spesso nella blogosfera…. non dovrebbe essere come la bicicletta?
E’ che questo mondo va troppo veloce, ti distrai un attimo e non sai più dov’è casa tua
😀
aprile 12, 2007 alle 8:11 PM |
quant’è?
aprile 12, 2007 alle 8:31 PM |
Cioè mi stai dicendo che tu vai in giro a commentare altri blog????
DA SOLA??????
COL VESTITO A FIORI????
FILA A CASA!!!
QUALI ALTRI BLOG?
CHI SONO?
DOVE?
E’ SPLINDER?
LO SO L’HO SEMPRE SAPUTO QUELLI ROVINANO LAGGENTE!!!
VEDI?
SE STAVI A CASA (nel senso di blog) TUTTO QUESTO NON SUCCEDEVA!
ALTRO CHE BLOG SESSISTA!
TU VAI IN GIRO PER BLOG A FARE LA SPLENDIDA E POI TI SEGUONO!!!!
marò cheffatica ‘ste maiuscole, ero partito dicendo “Solo una parola” e quindi con un dito sul tasto maiusc(olo) poi ci ho scritto tutta quella roba là ma ormai c’avevo il dito sopra il tasto e quindi ho scritto il resto con un dito solo che stanchezza mammamia vabbuò ma alla fine chest’chibbuò da te? O’Tren? O’Circ’ A’car’coscènz’, chibbuò?
aprile 12, 2007 alle 8:45 PM |
lui ritiene che l’ha sempre in tu ìto
aprile 12, 2007 alle 9:01 PM |
Vabbuò, ma tu non c’entri.
A occhio e croce sei un verdana corpo nove… massimo dieci.
(Broo’, a quello che ho capito non è Flo’ che vaga per i commenti altrui, è il blogghér incriminato che lascia le briciole, e altre lo seguono fin qui. E’ o vero?)
aprile 12, 2007 alle 11:00 PM |
TU VAI IN GIRO PER BLOG A FARE LA SPLENDIDA E POI TI SEGUONO!!!!
uèèèèèèèèèèèèèèèèèèè à splendida song io!!
aprile 12, 2007 alle 11:50 PM |
è come dice riccio.
io – per grazia di dio – ultimamente vado quasi esclusivamente nei blog di chi conosco di persona.
aprile 12, 2007 alle 11:54 PM |
a dimostrazione e conferma del fatto chel grande passo è un’idiozia.. 😉
aprile 13, 2007 alle 12:05 am |
iggy, però si sposavano in municipio 😉
wos, ci accorderemo per una tariffa equa e solidale
calma,
mo’ mi devo andare a dormire con questo penZiero? 😀
dido,
come ben sai io non faccio la splendida. io SONO splendida (ma solo dopo di te)
broono, e mica è da me che vogliono qualcosa. io che ci posso mai dare?
aprile 13, 2007 alle 12:16 am |
aitan, ma quale favola. questi sono fatti romanzati per quella cosa là , quella della praivasi, ma sono fatti di vita virtuale veriZZima
aprile 13, 2007 alle 9:11 am |
tutto è possibile tra blog e blog, finché non diventa realtà .
poi tutto diventa semplicemente inesistente.
per questo non bisognerebbe mai illudere né un blogger né una bloggeressa, perché tra l’esiste e il non esiste l’unica cosa vera è la sofferenza che si porta, inevitabilmente, per un certo tempo.
aprile 13, 2007 alle 9:37 am |
Parafrasando Marx (Groucho non Carl)
I blogghèr sono bloggheresse che non ce l’hanno fatta!
aprile 13, 2007 alle 10:06 am |
pispa, sono abbastantemente d’accordo.
io già una volta avevo proposto pene corporali per chi pativa sofferenze amorose virtuali.
era una provocazione.
lo so che si soffre uguale a che se le cose si fossero originate nel reale: uguali le delusioni, uguale lo schema del tradimento, uguale la negligenza, la gelosia, la rabbia, l’entusiasmo.
l’unica diversità è nella pretesa di immunità che si pretende di sostenere – da parte di chi infligge il dispiacere – e nel sentimento latente di cedimento a una forma di follia non condivisibile – da parte di chi lo subisce.
voglio dire: di sofferenza amorosa in blogosfera (simile alla sofferenza amorosa tradizionale, ma fatta di altri tempi e ritmi, altri segni) se ne può parlare solo con chi vive nello stesso ambito. un racconto che diventi esterno all’ambito che lo ha generato porta il marchio del delirio.
io detesto la gente che pensa di essere protetta da uno schermo e di poter poi giustificare i danni che ne derivano con l’affermazione che “tanto si sapeva, è tutto virtuale, mica le cose che scrivi sono vere”.
è giocare sul doppio filo, approfittare senza ritegno dell’ambiguità anche dove sai – ed è evidente – che dall’altro lato qualcuno possa prenderlo seriamente e starne male.
aprile 13, 2007 alle 10:07 am |
esssenziale,
io non conosco la frase originale, ma a questo punto la immagino e rido
[che poi vengono qua, mi dicono che sono sessista e m’appicciano ‘o blog]
aprile 13, 2007 alle 10:13 am |
io non ce la farei mai a confessare alla mia (futura) metà di avere un torbido passato di utentessa anonima, proprio non ci riuscirei.
lisa
aprile 13, 2007 alle 10:19 am |
lisa, si sa: son colpe che segnano per sempre.
io invece tanti anni fa ho imparato una cosa che è quella che tengo sempre a mente, in qualunque forma di rapporto virtuale (ma anche reale): non scrivere mai nulla di cui potresti vergognarti con il tuo compagno, tua madre e il tuo capufficio.
che sarà anche un po’ bacchettona come regola, ma funziona.
(ma io sono un po’ confuciana, quindi non so se possa essere valida anche per gli altri)
aprile 13, 2007 alle 10:36 am |
che poi – stamattina son graforroica – la questione del blog (o delle chat o di che volete voi) è la questione dell’etica che bisognerebbe adottare nel quotidiano.
né più né meno.
calpestare o insultare qualcuno prescinde dal mezzo.
prenderlo in giro o ridicolizzarlo, idem.
ultimamente sto leggendo delle storie in un blog che sono di un degrado pazzesco, a livello di relazione umana.
mi produce lo stesso effetto di vedere due che si sputano in faccia o vengono alle mani. è una roba indescrivibile.
eppure i commentatori passano e scrivono la loro, come se niente fosse. come se – appunto – fosse finto.
a me è successa una cosa qualche tempo fa.
un giorno – e ricordo perfettamente quale â una tizia ha lasciato un commento in un blog e quelle frasi mi si sono insediate dentro.
in un certo senso era il luogo del delitto. e lâarma era lì, sotto gli occhi di tutti, veniva maneggiata con leggerezza e noncuranza e nessuno pareva temere di essere colpito da una pallottola vagante.
io ne ho percepito la tensione con leggerezza, ma la bomba è scoppiata comunque e mi ha colpito, in un momento successivo.
sono ripassata più volte nel suo blog e ho letto un dolore. e ho letto accuse, principalmente a se stessa.
da quel momento, come se avessi
da qualche parte una scheggia che non riesco a togliere, commento sempre meno. me ne sto chiusa in casa.
prima era più facile, era facile far finta di nulla. erano solo parole: belle e innocenti.
avevo già scritto la curva della U, e poi sono venute la stazione di R. e la città di N., non a caso.
tutto questo potrebbe intitolarsi Alfabetica, una sorta di creazione-ombra in cui la lettera-simbolo si fa pilastro di singole costruzioni â tutte effimere â che annientano il reale, lettera dopo lettera.
come se cospirassero alla distruzione della realtà creandone altre â fasulle e al tempo stesso probabili â che insinuano dubbi e fanno vacillare, o che confortano.
il fatto, il nudo fatto, viene allora sepolto da una serie di detti.
oppure il proliferare dei detti serve a occultare lâassenza dei fatti.
così che il fatto può cambiare secondo il modo in cui viene detto o ci si può illudere che sia possibile. e si può dire dire dire cercando di dimostrare che se si dice di qualcosa esisterà anche il fatto sottostante, anche se non è vero.
poi si dice talmente tanto che alla fine uno finisce per crederci da solo (uso dire e non scrivere, perché assimilo la parola del virtuale a quella parlata, e non a quella scritta. uso dire, perché paradossalmente lo scritto virtuale lo ritrovo più assimilabile alla categoria del “non manent”)
tutti questi non-luoghi sono piazze per il compimento di omicidi e suicidi commessi in assoluta immunità : in un non-luogo ci saranno solo non-testimoni. le loro non-verità saranno sempre non-attendibili e in ogni caso non-discutibili.
così siamo tutti salvi, tutti prosciolti da eventuali accuse.
câè lâalibi della poetica, lâattenuante della fantasia.
mi viene in mente una ragazzina che teneva un diario personale con lucchetto e tutto, ma scriveva di sé in un modo che non era. una volta le ho chiesto: e perché?
la sua risposta è stata: e se per caso qualcuno lo legge?
poi qualche sera fa ho visto un film, Capote, che illumina molto il rapporto cinico tra autore e personaggio: lo scrittore non esita a cercare di salvare dalla pena di morte lâomicida che ha deciso di rendere protagonista del suo romanzo. ma non è alla persona che è interessato, quanto a dilatare il tempo per offrire corpo alla narrazione e un finale che ne sia allâaltezza.
una volta trovato il filone e la fama, lâomicida â nella realtà – viene abbandonato al suo destino.
non serve più: la sua figura è stata trasfigurata. il corpo occorreva sino al momento prima, dopo già non occorre più.
lâassassino si era macchiato di un delitto immediato, lo scrittore compie â senza che nessuno possa addebitargli nulla â un omicidio premeditato. A sangue freddo, appunto.
ed è curioso, curiosissimo, che la trasfigurazione del fatto attraverso i detti sia chiamata arte in alcuni ambiti, malattia mentale in altri, reato in altri ancora.
ed è curioso, curiosissimo il modo in cui in alcuni ambiti non vengano addebitate colpe e non ci siano responsabili.
e qui mi trovo sicuramente dâaccordo con Effe, quando dice che le parole sono azioni. e se non lo sono, sicuramente predispongono il terreno.
ho come lâimpressione che esista unâambivalenza insopprimibile â nel dire, nel dire di sé â che ci protegge come un paravento e pretende di mantenere in vita unâinesistente innocenza.
câè la stessa ambivalenza tra blogger e commentatore.
io mi costituisco, mi dichiaro colpevole.
però in cambio chiedo che venga fatta giustizia e vengano presi anche gli altri responsabili.
fornitemi un avvocato e farò tutti i nomi.
aprile 13, 2007 alle 10:37 am |
e poi volevo spezzare una lancia a favore degli utenti anonimi – quelli seri, però.
ché son tutti bravi ad andare in qua e in là a lasciare commenti livorosi senza firmarsi, ma per far fare i bravi utenti anonimi occorre una disciplina tremenda, altro che confucio.
(io la prossima volta voglio rinascer file audio, che vada a verbale.)
lisa
aprile 13, 2007 alle 11:07 am |
attenzione attenzione!
tutti i sessisti, i reticenti che non dicono, quelli che l’amore virtuale, quelli che vanno in giro a fare gli splendidi, quelli della praivasi, quelle che ce l’hanno fatta e quelli che sono rimasti uomini….
fuitevenne!
ca’ io l’appiccio stu blog!
aprile 13, 2007 alle 11:10 am |
hai ragione flò, tu sei una che pensa.
ma nudi abbracciati, secondo te, è blogsfera o blogmondo?
si può dire reale o virtuale?
perché certe volte è virtuale e certe volte invece è proprio reale, allora un blogger o una bloggeressa non capiscono più niente e..
allora o si sposano o si sloggano per sempre?
:)))
aprile 13, 2007 alle 11:12 am |
(lei mi è sessista, lo devo dire per contratto)
(io i commenti li leggo sempre tutti, per rispetto a chi li ha lasciati, epperò, e che diamine, contenetevi un poco, e voi scrivete assai, troppo assai, ja’)
(no, no, Flounder, non lo faccia, non scoperchi l’Arca, non riveli il Patto, non faccia i nomi, lei qui ha detto cose che stanno sottpelle, e poi cosa facciamo, senza pelle senza corpo, tutti azione e parola?
Non parli, non dica, neghi tutto.
Noi la ricorderemo anche in futuro)
aprile 13, 2007 alle 11:20 am |
effe, lei lo sa. qui da me il post è pretesto. le radici del’albero stanno sotto, nei commenti.
io raccolgo tante di quelle storie – ma tante di quelle storie – che certi giorni perdo un poco il senso del limite e il confine col reale.
allora ne devo scrivere, se no esco pazza.
[se non parlo quanto siete disposti a pagare?]
e poi, pispa, io avrei in mente delle linee di condotta, di demarcazione.
nudi e/o abbracciati sarebbe reale.
sarebbe.
se fosse condivisibile col mondo, intendo.
ma questo è molto simile a quando hai una relazione clandestina e non puoi andare a passeggio, non puoi frequentare luoghi in cui rischi di essere incontrato e scoperto.
trovo che sia virtuale anche quello, trovo che sia virtuale tutto ciò che – messo al confronto con una realtà quotidiana – perde qualcosa, che sia spessore, credibilità o entusiasmo o quello che vuoi tu.
essenziale, io sto a posto.
due settimane fa – in preda a un presagio – ho dato disposizioni testamentarie ad aitan.
sarà lui a raccogliere le ceneri e a darmi degna sepoltura.
aprile 13, 2007 alle 11:43 am |
Ma proprio tu parli (scrivi?) di linee di condotta, di demarcazione!
Proprio tu che permuti 25 baci virtuali con un vero morso sul lobo?
[se non parlo quanto sei disposta a pagare?]
aprile 13, 2007 alle 11:44 am |
A leggerti ci si perde tra i rivoli.
Meriterebbe qualche sedia, un tavolino, una bottiglia e una notte tiepida.
Due solo tra le decine che mi son venuti: non mi è chiara lâambivalenza insopprimibile â nel dire, nel dire di sé â che ci protegge . Così come non non mi è chiaro (o non mi convince affatto) l’immunità virtuale di cui tu, invece, riconosci i tratti. E’ un’immunità dalle parole, quella, che ha ha valore tanto nel virtuale quanto nel reale.
Mi soffermo, poi, sul concetto di quotidianità : la mancanza di essa non è perdita di spessore (anzi, di norma lo aumenta) quanto di riferimenti, di appigli a cui aggrapparsi fisicamente, a cui appendere le nostre mancanze.
aprile 13, 2007 alle 12:43 PM |
essenzia’, non tengo niente da nascondere.
però tu tieni l’animo del ricattatore (o del ricettatore?): un giorno le mie foto compromettenti, un giorno le mie dichiarazioni.
parliamoci chiaro, essenziale: sai qualcosa di me che non so?
aprile 13, 2007 alle 1:07 PM |
bustro, quello poi lo spazio offerto e poco, poi viene effe e mi dice che prolifero.
così stringo e salto i passaggi.
allora, il fatto dell’ambivalenza che ci protegge – nel raccontare di sé, è semplicemente che la diaristica, per quanto apparentemente onesta, sempre contiene gli estremi del Personaggio che vogliamo – consapevolmente o inconsapevolmente – rappresentare (che pure in parte ci appartiene, però):
flounder la pensatrice
calma il malinconico
pispa l’intimista
zu l’arzigogolante
effe il misterioso
bustrofedon il nostalgico
e così via.
così l’autonarrazione protegge perché presenta una parte per il tutto (ma spesso lo vorrebbe spacciare per il tutto).
e ci protegge – nel senso di immunità – perché, messa alla prova dei fatti, al confronto reale – ci permette (o non permette) di riconoscere che quella era solo una parte e fesso tu che hai creduto potesse rappresentare qualcosa di più ampio.
l’immunità è quella di poter bellamente negare l’immagine di sé che si è offerta, liquidando il tutto con l’affermazione: la vita è la vita, il blog è il blog.
frase passepartout che ritorna quando l’altro è in qualche modo deluso dallo scoprire una faccia diversa, rimasta inespressa nella continua presentazione di sé.
(io – per esempio – mica lo avevo mai capito, dalla lettura del tuo blog, che tu eri un tipo così determinato. tu – per esempio – magari non avevi colto che dietro la mia bonomia ci sia una certa distanza che raramente permetto di oltrepassare. queste sono note caratteriali che vengono fuori altrove, nel momento in cui si fanno delle cose insieme, ad esempio)
l’ambivalenza è nel fatto – io credo – che spesso ci sia la tentazione di scrivere di sé in altro modo, esponendo altre parti.
il fatto che non lo si faccia non credo dipenda dal pudore (se avessimo pudore non scriveremmo neppure un decimo di quel che scriviamo), ma dal non tradire il Personaggio.
è chiaro che questa forma di autoprotezione/finzione esiste anche nel reale, ma lì sarà più difficile convincerti che sono una tipa riflessiva e beneducata se mi vedi fare cose che smentiscono puntualmente l’assunto.
così il giorno che calma vuole scrivere di un sé erotico o di un sé compassionevole, il lettore tipo si ribella: uè, eccheccazz’, il contratto che abbiamo stipulato non lo prevede.
(ci vuole la bottiglia di vino, sì)
aprile 13, 2007 alle 1:13 PM |
mi piace!
essenziale o’ ricettatore
che tranne armi e droga qua vendiamo di tutto signurì!
aprile 13, 2007 alle 1:19 PM |
essenziale, io mo’ non ti voglio contraddire perché sembri un giovane onesto: ma la parola è anche arma e droga.
[e comunque per la restituzione al mittente di 25 baci virtuali voglio un orologio a cucù svizzero. se no li passo alla bloggheressa più racchia che esiste e le dico che sono tutti per lei, e poi sono fatti vostri]
aprile 13, 2007 alle 1:42 PM |
so’ stato bravo, avrò letto fino al 40esimo commento, poi non ho retto più…
Mi torna in mente quel sito che m’ha fatto tanto ridere:
http://www.getafirstlife.com/
da cui si apprende che solo oggi sono state acquistate 27021 paia di pantaloni…
aprile 13, 2007 alle 1:43 PM |
ah, sì, la parte che mi divertiva di più era la dicitura sul banner: “E’ il tuo mondo. Ci dispiace”
aprile 13, 2007 alle 1:48 PM |
ma io non ho capito di che parla, quel sito 🙂
aprile 13, 2007 alle 1:51 PM |
cioè, voglio dire: cercano di convincerci che esista un mondo fuori da qui?
come la vita oltre la morte? 😀
aprile 13, 2007 alle 1:57 PM |
tu si’ troppaesaggeratamenta pignola e precisa!
è pe’ chest cha taggia vasà annanz’ a tutt’ quant’!
e con questo fanno 24!
e non scherzare con l’orologio a cucù svizzero che mo’ che arriviamo a 25 me li restituisci e t’ faie muzzicà a recchia!
aprile 13, 2007 alle 2:20 PM |
Ecco: il sé.
Ritorniamo a discorsi appena abbozzati con calma (il malinconico) tra tavole imbandite e tavole del Perugino.
Che vi sia un’ambivalenza nel raccontare il sé non è poi così certo, ché non è tanto del sé raccontato che vi è ambivalenza, ma in a chi lo si racconta. E questo, val anche per quel patto che lo scrittore fa con il lettore.
Se è vero che in alcune forme di comunicazione mediata (chat, per esempio) si ha sempre a che fare con il Personaggio e con quel simulacro della realtà che entrambi gli attori (i Personaggi) interpretano, tal non è detto sia per il blog.
Li definii dopo un rosso di Montalcino i quattro punti cardinali del nostro scrivere: di sé, degli altri, per sé, per gli altri.
Se nello scrivere per gli altri posso capire vi sia la presunzione di immunità (presunzione, però, che deve ben valere per entrambi gli attori: scrittore e lettore), nello scrivere per sé tale presunzione e, soprattutto, l’immunità stessa non è per postulato.
Il mio scrivere, per esempio (ché sempre si ritorna all’autocontemplazione del proprio ombelico) non è il risultato di un patto con chichessia, ma, al limite, un’alternativa economica al lettino dello psicanalista. Che vi sia un patto con l’eventuale lettore, non solo non è detto (o scritto), ma è, spesso, una presunzione del lettore e non una necessità dello scrittore.
Così’ come il raccontarsi non segue per forza il descrivere sé stesso come Personaggio, o parte di esso, bensì il descriversi, ovvero il descrivere sé stesso a sé stessi.
Tant’è che il nostalgicobustrófedon non si riconosce in tale nostalgia (né tantomeno nell’essere languido)
Se vi è patto, nello scrivere così, è un patto con sé stessi, sempre ovviamente disatteso.
aprile 13, 2007 alle 2:30 PM |
bustrofedone,
per grazie di dio lo scrittore e il lettore quelli dei libri) non entrano mai in contatto. la pagina cartacea è parete e preservativo.
sul fatto dello scrivere in un blog come alternativa economica a un contatto psicoterapeutico. no, non sono proprio d’accordo.
mi dispiace, ma proprio contesto.
mi dirai caso mai che si tratta di un’esplorazione, ma mai potrà avere quella valenza.
il blog ti dà un feedback che sotto quel profilo non serve proprio a niente, è solo una valvola di sfogo.
ho sentito che in america iniziano le prime psicoterapie online, per chi non ha tempo o eccessivo pudore.
ma la psicoterapia ha altri obiettivi, ha la riformulazione dei dati, la restituzione, la creazione di uno spazio comune in carne ed ossa dove si fronteggiano e si smantellano modelli.
e poi si paga.
è fondamentale che si paghi.
il blog è a fondo perduto, come gli interventi economici al sud.
poi però la monnezza resta tutta là .
aprile 13, 2007 alle 2:36 PM |
Ma tu mi svicoli, mia cara, soffermandoti sulla boutade.
E’ nella rappresentazione di sé stessi che ti voglio, è tra quei 4 punti cardinali che ti aspetto.
aprile 13, 2007 alle 3:00 PM |
bustrofedone,
questa cosa dei punti cardinali è troppo difficile per me.
non so se i punti sono 4.
per esempio lo scrivere degli altri secondo me non esiste. è sempre uno scrivere di sé, delle tue sensazioni relativamente a ciò che descrivi. lo scrivere degli altri ti racconta.
dello scrivere per sé ne abbiamo dibattuto da effe. in un blog è un apparente per sé, resta scritto pubblico e come tale viziato in qualche modo, mai perfettamente onesto.
per me non è incidentalmente pubblico, come sostieni tu.
al massimo è intimisticamente pubblico.
io da quando ho il blog non scrivo più per me, nel senso che non tengo più un diario. prima ero un tutt’uno con lo scrivere per me, adesso ho sempre come un occhio che mi osserva, e non so più se sia il mio o il vostro.
ci restano dunque uno scrivere agli altri e uno scrivere di sé.
ma non riesco a tenerli separati.
non ci riesco più.
aprile 14, 2007 alle 12:20 PM |
allora era un’idiozia municipale ;-))
aprile 16, 2007 alle 9:36 PM |
Mi pare di capire che il discorso qui stia tutto nella responsabilità . Responsabilità in quanto ciò che scrivi è pubblico e gratuito pertanto accessibile a tutti.
Di conseguenza ciò che “pubblichi” richiede trasparenza ed onestà .
Si è parlato del sè e dello scrivere per gli altri.
Penso alla vita reale. Trovarlo questo sè non è una passeggiata, così come riuscire a servire gli altri, figuriamoci quanto si possa pretendere di ritrovarlo in un blog. E’ qui che credo possano essere corrette entrambe le considerazioni, quella di Flo e quella di Bustro, ma ridimensionate entrambe. Mi domando come possa essere, il blog, un sostituto della psicoterapia e mi domando anche come possa essere una rappresentazione del sè.
Contemporaneamente penso che un blog possa essere d’aiuto quando si tira fuori ciò che si ha dentro raccontandosi per come si è o fingendosi un’altra persona. Una cosa non esclude l’altra. Esiste una sola strada, ma per ognuno è diversa.
Nella vita soprattutto, in un blog di conseguenza.
L’importante è che il rispetto per l’altro non venga mai a mancare, concordo, e che non si illudano le persone, ma mi viene naturale pensare che così come ognuno della propria vita ne fa quel che crede così è nel blog. Poi, se sbaglia, ne paga le conseguenze ma è un suo problema e solo suo.
La psicoterapia e la ricerca del sè, di cui la psicoterapia è nipote, trascendono il blog.